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1 maggio: l'indagine, italiani pronti a sfide ma attaccati a lavoro dipendente

29 aprile 2015 | 17.45
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Da un'indagine condotta da Manageritalia e AstraRicerche in occasione del Primo Maggio emerge un quadro di luci e ombre. Carella: "Cambiare passo sulla cultura del lavoro" (video). Al via il progetto 'Produttività e benessere'

1 maggio: l'indagine, italiani pronti a sfide ma attaccati a lavoro dipendente

Soddisfatti del proprio lavoro, accettano responsabilità e sfide, ma restano attaccati al lavoro dipendente e preferiscono restare nella stessa azienda, e sul Jobs Act sono informati ma la metà lo valuta negativamente, anche perché sono convinti che con il contratto a tempo indeterminato 'vecchia maniera' fosse più facile metter su famiglia (video). E' lo scenario tracciato da un'indagine di condotta da Manageritalia e AstraRicerche, in occasione del Primo maggio, per misurare il rapporto degli italiani con il lavoro. Ne esce un quadro fatto di luci e ombre, che "mostra tanti italiani mentalmente già proiettati verso quel nuovo modello di lavoro che servirebbe oggi per mettere insieme produttività e benessere di persone, aziende e sistema, ma che in Italia latita parecchio", sottolinea l'indagine.

Infatti, due terzi degli italiani (64,6%) si dichiarano soddisfatti del loro lavoro. Una soddisfazione debole, perché gli 'abbastanza' (51,3%) prevalgono sui 'molto' (13,3%) soddisfatti. Guardandolo in prospettiva, a tre o dieci anni, solo il 39% lo vede positivo. E qui prevalgono i giovani, cosa di per sé naturale, ma non scontata, si osserva, vista la situazione lavorativa giovanile attuale. E che il lavoro sia importante lo testimonia il fatto che per tutti (90%) è l’unica strada per guadagnarsi dignitosamente da vivere, ma poi, come dicono tantissimi, è anche il più grande problema della società occidentale (81%),

Non solo. Gli italiani si mostrano più moderni di quanto si possa pensare, ma non ancora abbastanza. Nell’immediato, sono pronti ad affrontare una sfida (73%) e/o a lavorare con forti responsabilità (66%). Ma preferiscono ancora il lavoro dipendente (69%), senza disdegnare quello indipendente (51%). Non disdegnano una retribuzione legata al merito e ai risultati (49%). Ancora minoritari quelli che vivono bene andare a lavorare lontano da casa (27%) o all’estero (34%).

Ma qual è il lavoro che gli italiani hanno in testa, nel cuore e nell’anima? Prevale ancora l’apprezzamento per stare sempre nella stessa azienda (48,3%). Ma poi cercano la collaborazione con i colleghi (42%) e un modello retributivo con una forte parte di welfare aziendale (41,8%). C’è ancora una leggera prevalenza di chi vuole un 'posto stabile', anche se poco stimolante, e orari e retribuzione fissi. Ma scalpitano i propugnatori di un lavoro più stimolante, fatto di flessibilità, apprendimento, esperienze e sfide continue.

Sono ormai ampia maggioranza (74%) quelli che hanno un’idea di tutela 'moderna', legata al poter per crescere professionalmente, essere appetibili e muoversi sul mercato. Il sindacato è per metà degli italiani ancor più importate, anche se sostengono che ne serve uno diverso (52%) e questo lo vedono debole (51%).

Non pensano che a breve torneremo a crescere in modo vistoso, né miglioreremo più di tanto in quelli che sono nostri classici gap (disoccupazione giovanile, sicurezza sul lavoro ecc.). Andare lavorare all’estero non è più una dannazione o chimera, anzi, per il 60,5% è l’unica speranza per avere un futuro/un lavoro dignitoso. E più della metà (56,3%) dice che ci andrebbe volentieri, che è una necessità e ancor più un’opportunità dettata da un mondo ormai globale anche nel lavoro.

Quanto alla riforma del lavoro, due terzi (63,8%) degli intervistati ha sentito parlare del Jobs Act, mentre meno della metà (44,3%) pensa di essere abbastanza informato. In generale, il giudizio non è buono. Perché si dice che rende troppo facile il licenziamento dei lavoratori (54,1%), porterà a nuove forme di precariato (50,3%), non migliorerà in modo sostanziale la situazione del lavoro in Italia (50%). Minoritari gli aspetti positivi. Insomma, in ogni caso, almeno a livello di comunicazione, questa rivoluzione ha fatto poca presa su chi parrebbe pronto ad accogliere e agire il nuovo lavoro.

Per gli italiani il lavoro influisce, eccome, sulla famiglia. L’ampissima maggioranza (75,2%) lega una maggior facilità a metter su famiglia a un contratto a tempo determinato tradizionale, stipulato sino al 2014, mentre le restanti formule scompaiono. Un’influenza che dipende, in negativo, anche dal fatto che uno o entrambi i coniugi non siano soddisfatti o siano stressati dalla situazione lavorativa.

Per migliorare questo stato di cose, gli italiani hanno le idee ben chiare e chiamano in causa le aziende (79%) e la società (67%).

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