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Lavoro: la ricerca, Italia non è un Paese per professionisti

26 maggio 2015 | 14.41
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Consiglio nazionale degli ingegneri, flussi in entrata estremamente ridotti

Lavoro: la ricerca, Italia non è un Paese per professionisti

"L'Italia non è un Paese per professionisti". E' questa la sintesi della ricerca 'Il riconoscimento dei titoli italiani conseguiti all’estero-2014', pubblicata dal Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri.

"A fronte della promozione -si legge- da parte dell’Ue di politiche tese ad agevolarla, i flussi di professionisti in entrata in Italia si rivelano estremamente ridotti e caratterizzati, per la maggioranza (77,5%), da cittadini italiani di rientro. Si tratta di laureati italiani che chiedono il riconoscimento del titolo professionale conseguito all’estero, dove le procedure di abilitazione sono meno complesse. In questo modo, i timori di una eccessiva presenza di professionisti stranieri sembrano ormai definitivamente svaniti".

"Nell’anno passato -si legge ancora- il numero degli italiani che hanno ottenuto il riconoscimento è stato di appena 458 unità, un centinaio in meno rispetto al 2013. Se poi si tiene conto che in due casi su tre si tratta di cittadini italiani, laureatisi in Giurisprudenza in Italia, che chiedono il riconoscimento del titolo abilitante in Spagna, i flussi in entrata sono praticamente irrilevanti: 48 ingegneri, 20 biologi, 12 assistenti sociali e a seguire le altre professioni".

“Lo scarso numero di richieste di riconoscimento dei titoli professionali conseguiti all’estero -commenta Luigi Ronsivalle, presidente del Centro studi Cni- non sorprende. L’Italia, infatti, in questo periodo esporta professionisti più di quanto ne importi. Sarebbe forse più corretto parlare di emigrazione dei professionisti italiani, soprattutto ingegneri, che non trovano nel nostro Paese condizioni di lavoro soddisfacenti. La condizione professionale in Italia non è infatti rosea a causa di remunerazioni troppo basse, tassazione eccessiva, burocrazia esasperata”.

“L’amara considerazione che viene da fare -prosegue Ronsivalle- è che, al di là del superamento dei vincoli imposti dalla legislazione vigente sul riconoscimento dei titoli, la modesta affluenza di professionisti stranieri in Italia si può spiegare con la scarsa attrattività del nostro Paese dal punto di vista economico e del mercato del lavoro. Non possiamo perciò sentirci rasserenati dalla minore concorrenza proveniente dagli altri Paesi”.

Escludendo gli italiani, che costituiscono il 77,5% dei professionisti cui è stato riconosciuto il titolo professionale, il gruppo più consistente è rappresentato da cittadini rumeni (6,3%), seguiti a distanza dagli albanesi (2,6%) e dagli spagnoli (2,4%).

Tra gli ingegneri che hanno ottenuto il riconoscimento del titolo professionale, non c’è una nazionalità che spicca nettamente: i 48 ingegneri provengono da ben 22 nazioni diverse. Tra questi, l'81,3% ha ottenuto il riconoscimento della validità del titolo per l’accesso alla sezione A, mentre il restante 18,1% è composto da ingegneri iuniores. Per quanto riguarda il genere, per la prima volta il numero di laureate cui è riconosciuto il titolo è superiore al corrispondente numero dei colleghi uomini: 57,2% contro il 42,8% dei maschi.

Questi ultimi prevalgono solo tra gli ingegneri (68,8%) e tra i dottori commercialisti (66,7%). Da rimarcare la consistenza della componente femminile rilevata tra gli ingegneri, visto che in Italia la quota di donne iscritte all'albo degli ingegneri è notevolmente inferiore (circa il 13%). L’età media dei professionisti che ottengono il riconoscimento dei titoli conseguiti all'estero è compresa tra i 36 e i 37 anni.

In definitiva, i risultati della ricerca del Centro studi del Cni "mostrano come il nostro paese riveli ben altri problemi rispetto alla temuta eccessiva pressione da parte di professionisti stranieri". "In realtà, il dato che dovrebbe preoccupare più di tutti - avverte - è il grande flusso di laureati in uscita causato dalle ridotte opportunità lavorative, dai salari nettamente inferiori rispetto a quelli degli altri paesi europei e dalle tipologie contrattuali che penalizzano i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro".

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