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Jobs Act: congedo retribuito a donne vittime violenza, novità per Italia

30 giugno 2015 | 12.01
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Critiche da sindacato e Telefono Rosa, norma poco applicabile

Jobs Act: congedo retribuito a donne vittime violenza, novità per Italia

Per la prima volta, nel nostro ordinamento una norma riconosce alle donne vittime di violenza il diritto a un congedo retribuito della durata di tre mesi. A portare questa novità assoluta è il decreto attuativo del Jobs Act sulla conciliazione vita-lavoro, approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri dell’11 giugno. Ma, per come è stata scritta, la norma è oggetto di critiche sia da parte dei sindacati (Uil Mobbing dice che "tre mesi sono pochi per un percorso riabilitativo"), sia di Telefono Rosa, la cui presidente Gabriella Moscatelli parla a Labitalia di "norma inapplicabile".

Le donne vittime di violenza di genere, dice la nuova disposizione, hanno diritto ad astenersi dal lavoro continuando a percepire l'intera retribuzione, se sono lavoratrici dipendenti, pubbliche o private, collaboratrici a progetto, lavoratrici inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, o in percorsi certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio.

L'assenza dal lavoro non rileva ai fini dell'anzianità di servizio, della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Il congedo può essere fruito su base oraria o giornaliera nell'arco temporale di tre anni. La lavoratrice dipendente, infine, ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in tempo parziale, verticale od orizzontale, nonché al ripristino del tempo pieno, a sua richiesta.

La misura è stata accolta favorevolmente, ma le critiche, anche pesanti, non mancano. Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente e fondatrice di Telefono Rosa, associazione impegnata quotidianamente nel contrasto alla violenza sulle donne e nell'assistenza alle donne che la subiscono, parla esplicitamente con Labitalia di "norma inapplicabile". "Intanto, le nostre statistiche ci dicono che le donne violentate che hanno un lavoro dipendente sono poche, perché purtroppo la maggior parte non lavora e vive quotidianamente una condizione di debolezza economica", afferma la presidente.

Poi, aggiunge, "solo il 7% delle donne violentate sporge denuncia e questo lo dice l'Istat". Un dato che conferma "la difficoltà di queste donne nel raccontare questa terribile esperienza -dice Moscatelli- e figuriamoci l'imbarazzo e il dolore di doverlo raccontare a un datore di lavoro". "Per non parlare dei colleghi: il datore ha naturalmente l'obbligo della riservatezza, ma comunque -avverte- i colleghi si chiederanno il motivo, soprattutto se si tratta di una delle tante piccole o piccolissime aziende italiane".

Insomma, "la norma è uno spot sulle donne -conclude la presidente di Telefono Rosa- ma, invece di una norma che difficilmente sarà applicata, era meglio scrivere le norme di attuazione del piano nazionale anti-violenza, che oramai aspettiamo da troppo tempo".

Per Alessandra Menelao, responsabile dei Centri di ascolto della Uil Mobbing&Stalking contro tutte le violenze, è da apprezzare "lo sforzo del governo nel trattare la tematica della violenza, ma non possiamo accettare -osserva- che le donne debbano essere certificate dai servizi sociali, dai Cav e dalle case rifugio".

"Riteniamo, questo, un ritorno indietro - sostiene - perché così si ghettizzano le donne vittime di violenza, facendo loro subire una ulteriore brutalità. Inoltre, visto che le politiche di welfare in Italia lasciano molto a desiderare e, non per mancanza di volontà degli operatori, ma per il continuo taglio dei fondi a loro necessari, tali strutture non potranno essere in grado di farlo compiutamente. Si rischia così di non dare assistenza necessaria a molte donne"

Per la Uil Mobbing&Stalking, poi "tre mesi sono veramente pochi sia per denunciare che per cominciare un percorso terapeutico che le faccia stare meglio". E dal sindacato osservano anche: "Non capiamo perché le lavoratrici domestiche debbano essere escluse dal provvedimento. Come centri di ascolto riteniamo che questo articolo 23 debba essere modificato auspicando che venga fatto al più presto. Non vorremo che questo sia l’ennesimo decreto che non può essere portato a termine per mancanza di una politica lungimirante".

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