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Agricoltura: nelle Marche torna la cicerchia, regina dei legumi poveri

11 aprile 2017 | 10.16
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Agricoltura: nelle Marche torna la cicerchia, regina dei legumi poveri

Da qualche anno la regina dei legumi poveri marchigiani si è riappropriata del suo scettro: è la cicerchia, divenuta oggi presidio Slow Food ed elemento di identità delle terre del Verdicchio, un prodotto che fino a pochi anni fa era considerato in via di estinzione. Legume originario del Medio Oriente, già apprezzato dai Greci, conosciuto e ampiamente utilizzato dagli Antichi Romani che la chiamavano “cicerula”, la cicerchia è passata da tempo dalla dispensa al dimenticatoio.

Ma un gruppo di agricoltori di Serra de’ Conti, cittadina di origine duecentesca in provincia di Ancona nel cuore delle colline del Verdicchio, si è messo in testa di riscoprire il legume e valorizzarlo e ha fondato nel 1996 la Cooperativa “La Bona Usanza”, che conta ora 22 soci. Risultato: oggi, nella zona di Serra de’ Conti, le coltivazioni di cicerchia si sviluppano su 16 ettari di terreni, per una produzione rigorosamente a basso impatto ambientale.

Nelle Marche, la cicerchia si semina tradizionalmente nel “giorno cento” dell’anno, ovvero all’inizio di aprile: un tempo, averla in dispensa costituiva una garanzia per l’imminente inverno perché ha un buon apporto proteico (superiore del 30% a quelle dei ceci, del pisello e della lenticchia) ha pochi grassi e molti amidi.

“L’obiettivo - spiega Gianfranco Mancini, presidente della Cooperativa La Bona Usanza- era quello di salvare dal rischio di estinzione legumi, cereali, dolci e salse che sono stati alla base della storia alimentare di questo territorio. Salute, biodiversità, memoria, e valorizzazione del patrimonio enogastronomico locale sono i cardini intorno ai quali orientiamo il nostro lavoro”.

Nei mesi scorsi, i soci della Cooperativa hanno deciso di compiere un ulteriore passo avanti e di utilizzare le farine dei legumi da loro coltivati realizzando in questo modo prodotti senza glutine, ricchi di fibre e di proteine, senza grassi, e dalle grandi proprietà energetiche. Insieme alla cicerchia, sono state poi riscoperte diverse altre perle della gastronomia del territorio che erano finite nel dimenticatoio.

A partire dal lonzino di fico, anch’esso presidio Slow Food, un salamino preparato con fichi fatti asciugare al sole e impastati con anice, mandorle e noci tritate, avvolto in foglie di fico e legato con filo di lana; e ancora il fagiolo solfino, piccolo, rigonfio e dal colore simile allo zolfo con la sua buccia finissima, la consistenza cremosa e il sapore delicato, oppure il granoturco quarantino “12 file”, coltivato nelle campagne marchigiane fino agli anni sessanta del secolo scorso, quando fu sostituito dagli ibridi per la loro maggiore redditività.

E ancora la sapa, nettare d’uva che si ottiene dalla lenta bollitura del mosto; l’agresto, un aceto dolce a base di mosto cotto, denso e con forte nota acidula; la dolce cipolla di Suasa. Intorno alla cicerchia è partito insomma un prezioso lavoro di riscoperta dei sapori di un tempo in una regione, le Marche, che negli ultimi mesi è stata messa a dura prova dal terremoto.

Lo scorso mese di novembre - in occasione della consegna del Premio per la Biodiversità nell’Agroalimentare delle Marche - la Cooperativa “La Bona Usanza” ha portato la tradizionale zuppa di cicerchia fino ad Amandola, un Comune della provincia di Fermo duramente colpito dal sisma.

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