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Dai pesticidi all'amianto, i rifiuti interrati della Valle del Sacco

28 febbraio 2014 | 16.55
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Dai pesticidi all'amianto, i rifiuti interrati della Valle del Sacco

Rifiuti sversati e interrati fin dagli anni Trenta: dai pesticidi all'amianto. Frutto degli scarti di lavorazione di tre settori industriali: chimico, bellico e ferroviario. Una vera e propria bomba ecologica che da anni aspetta una bonifica. Siamo nella Valle del Sacco, tra la provincia di Roma e quella di Frosinone. Un perimetro che riguarda i territori di diversi comuni: da Colleferro, dove tutto ha avuto origine, a Supino. Per un totale di oltre 117mila ettari inquinati.

L'emergenza ambientale e sanitaria è scoppiata ufficialmente nel 2005 con la presenza della molecola beta-esaclorocicloesano rilevata nel latte degli allevatori della zona che ha portato all'abbattimento di circa 6700 capi di bestiame. La molecola, commenta Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio, “è praticamente ovunque”. L'unico intervento che si è potuto fare “è stato verificare il punto da dove è partito l'inquinamento e circoscriverlo per evitare che si continui a inquinare”.

Ma per bonificare l'intera area, “l'intervento è difficilissimo perché va tolto uno strato di terra significativo e per centinaia di metri lungo km di asta fluviale per disinquinarlo”. La catena alimentare, dunque, è in buona parte compromessa, e oltre ad aver messo in ginocchio il comparto agricolo, ha portato anche ad una preoccupante contaminazione biologica degli abitanti. Alberto Valleriani, presidente Rete tutela Valle del Sacco racconta che “nella prima indagine epidemiologica, su 246 persone 137 sono risultate contaminate, ossia il 55% della popolazione”.

La seconda indagine ha ampliato il campione e ha analizzato “circa 6-700 persone che, oltre a riconfermare la percentuale dei contaminati, ha cercato di stabilire anche dei nessi tra la sostanza e alcune patologie tra cui quelle relative alle ghiandole surrenali, alla fertilità femminile e al sistema cognitivo e quindi al sistema nervoso centrale”. Limitando la cifra ai soli costi di recupero e ripristino dell'area, l'Ispra valuta in 660 milioni di euro il danno ambientale complessivo. Ma gli interventi procedono a rilento: in 9 anni è stato bonificato solo il 20% di tutta l'area.

Come se non bastasse, l'anno scorso il ministero dell'Ambiente ha deciso di declassare il sito che ora è di competenza della Regione Lazio. “Dopo il declassamento da Sin a Sir, ci doveva essere il passaggio alla competenza regionale” spiega Valleriani. Così un atto pubblicato in Gazzetta Ufficiale “ha affidato al dirigente del dipartimento istituzionale e territorio della Regione Lazio le competenze per la gestione dell'ufficio commissariale e quindi di conseguenza per le operazioni di bonifica".

Il dirigente di questo dipartimento "era Luca Fegatelli che però a gennaio è stato arrestato e attualmente è agli arresti domiciliari per l'inchiesta sui rifiuti a Roma e nel Lazio che ha portato all'arresto anche di Manlio Cerroni, proprietario della discarica di Malagrotta. Attualmente, dunque, “l'ufficio commissariale, che sta continuando a lavorare, non ha un dirigente che firma gli atti. Le operazioni di bonifica quindi tecnicamente e amministrativamente sono ferme”.

Insomma, tutta colpa di una firma. E così oltre al danno, ossia il declassamento, c'è anche la beffa. Il tempo passa e il rischio è di perdere anche quel poco che è stato fatto. Dopo un primo intervento finalizzato a tamponare l'emergenza, sono stati costruiti 18 nuovi pozzi barriera per prelevare e ripulire le acque in falda. Un lavoro, che alla società immobiliare che detiene l'area, è costato 4,5mln di euro. Ma i pozzi, da due anni pronti, non sono mai entrati in funzione.

Per Cristiana Avenali, consigliere della regione Lazio e membro della commissione Ambiente, “è evidente che questo impasse va risolto quanto prima” e “si sta già lavorando per risolvere questa situazione. Non è possibile che perché manca un dirigente non vengano messi in attivo dei pozzi sui quali sono stati già spesi dei soldi”. Iniziare con la messa in funzione dei pozzi, “sarebbe un risultato importante sul quale mi impegno a lavorare affinché avvenga il più resto possibile”.

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