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Sostenibilità: Consumi giù e ambiente, la crisi della raffinazione tradizionale/ Focus

16 dicembre 2014 | 13.07
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Chiuse 17 raffinerie in Europa (4 in Italia) su 98 nel periodo 2009-2014. Dal 2006 ad oggi, l'Eni stima, ingenti perdite economiche a causa di un surplus europeo di 120 milioni di tonnellate di raffinato

Raffineria Eni di Sannazzaro de' Burgondi
Raffineria Eni di Sannazzaro de' Burgondi

L'industria della raffinazione tradizionale è ormai giunta al capolinea. Riduzione dei consumi, crescente pressione competitiva internazionale e la necessità di produrre rispettando l'ambiente, hanno posto l'esigenza di rivedere totalmente il sistema. Dal 2006 ad oggi, infatti, Eni stima che i consumi interni hanno subito un vero e proprio tracollo: in Europa la riduzione è stata del 15%, mentre in Italia addirittura del 30%. Ingenti quindi le perdite economiche a causa di un surplus europeo di 120 milioni di tonnellate di raffinato.

Una situazione che ha portato nel periodo 2009-2014 alla chiusura di 17 raffinerie in Europa (4 In Italia) su 98. Le raffinerie europee sperimentano inoltre crescenti pressioni competitive da parte degli operatori americani, mediorientali e russi avvantaggiati da minori costi energetici e di approvvigionamento, maggiori economie di scala e maggiore integrazione con la petrolchimica. Ulteriori riduzioni di capacità consentiranno un progressivo riassorbimento della capacità in eccesso, con conseguente ripresa dei tassi di utilizzo che, tuttavia, in Europa e nel Mediterraneo in particolare, difficilmente ritorneranno sui livelli pre-crisi.

Quanto all’industria della raffinazione italiana la situazione è anche peggiore: l’Italia è esportatrice netta di prodotti petroliferi (nel passato product supplier del Mediterraneo) e, se tale caratteristica fino a qualche anno fa ha rappresentato un punto di forza del sistema industriale italiano, nel mercato odierno si trasforma in un handicap. A differenza dei principali partner Ue, l’Italia è nella posizione unica di esportatore non solo di benzina ma anche di gasolio.

Oggi si ritrova stretta tra due tenaglie: da un lato i tradizionali outlet per la benzina europea si restringono (riduzione export verso Usa e Medio Oriente), dall’altro cresce la competizione internazionale per soddisfare il deficit di gasolio europeo. Cresce l’export da Russia, Golfo Usa e Medio Oriente, che presentano vantaggi competitivi verso l’Italia. La raffinazione europea è inoltre alle prese con le sfide lanciate dall’Unione Europea.

La politica energetica dell’Europa ha infatti due obiettivi primari: la lotta al cambiamento climatico attraverso la riduzione delle emissioni di Co2 e la riduzione delle importazioni di energia attraverso l’investimento nelle rinnovabili, la diversificazione delle fonti e il risparmio energetico. Per i prodotti petroliferi questo si traduce in una progressiva sostituzione del loro impiego con fonti dal minore impatto ambientale come il gas e, in prospettiva, con tecnologie alternative come i veicoli elettrici nei trasporti.

Anche i biocarburanti sono considerati dall’Ue uno strumento strategico di policy e già oggi gli Stati membri devono impegnarsi affinché entro il 2020 il 10% dei consumi di energia del settore trasporti possa essere soddisfatto da fonti rinnovabili. Biocarburanti come l’etanolo e il biodiesel, che oggi si ricavano dalla lavorazione di materie prime agricole come la canna da zucchero e gli oli vegetali, saranno in futuro prodotti a partire da materiali di scarto e microalghe, tecnologie con un’impronta ambientale estremamente contenuta ma non ancora mature da un punto di vista commerciale.

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