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Energia: petrolio offshore, le preoccupazioni degli ambientalisti/scheda

26 marzo 2015 | 09.59
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Dalla minaccia di incidenti, soprattutto a seguito delle tragedia nel Golfo del Messico, agli impatti delle indagini attraverso la tecnica dell'airgun sulla fauna marina e sulla pesca

(Infophoto)
(Infophoto)

Le attività estrattive di petrolio comportano un rischio per il mare e il suo delicato ecosistema, soprattutto se si considera che gli impianti petroliferi sono più vulnerabili nella fase di ricerca e nelle prime fasi di produzione. Se da una parte è questa la preoccupazione non solo degli ambientalisti ma anche di cittadini e amministrazioni, gli esperti del settore rassicurano: si tratterebbe di un'ipotesi molto improbabile e, nell’eventualità che si verifichi, il rischio verrebbe ridimensionato da interventi di mitigazione quali panne galleggianti e skimmer.

Eppure, il “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini” approvato con Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri il 04 Novembre 2010, in merito all’utilizzo di tecniche di rimozione meccanica e materiali inerti assorbenti e inaffondabili, o prodotti chimici, sottolinea che “le varie tecniche di rimozione, pur combinate tra loro e nelle condizioni ideali di luce e di mare, consentono di recuperare al massimo non più del 30% dell’idrocarburo sversato. Tale percentuale tende rapidamente a zero con il peggioramento delle condizioni meteo-marine. Impossibile operare la rimozione in assenza di luce”.

La questione della sicurezza delle attività estrattive offshore è al centro dell’attenzione della Comunità europea, anche in conseguenza all’incidente del Golfo del Messico. Un percorso che ha portato il 10 giugno scorso all’approvazione della Direttiva 2013/30/Ue sul rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi.

La direttiva nasce da alcuni principi di riferimento tra cui quello che i gravi incidenti legati all’estrazione di idrocarburi in mare possono avere conseguenze gravi e irreversibili sull’ambiente marino e costiero. Un altro passaggio importante è l’inquadramento di tali attività nelle politiche di tutela e salvaguardia del mare per garantire il raggiungimento al 2020 del buono stato ambientale, come previsto dalla direttiva 2008/56/Ce.

Si tratta della direttiva che ha messo in campo la Strategia marina, con l’obiettivo di valutare l’impatto cumulativo di tutte le attività per una gestione integrata del sistema marino-costiero.

La direttiva impone alle compagnie petrolifere di redigere un’accurata relazione sui grandi rischi e su eventuali incidenti che possono verificarsi, studio che deve essere ben illustrato nel progetto (“cosa che in molti dei progetti presentati oggi non si verifica”, sottolinea Legambiente); richiede inoltre al Governo, in fase di rilascio delle autorizzazioni, di verificare se ci sono tutte le garanzie economiche da parte della società richiedente, per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attività.

Impone inoltre di applicare tutte le misure necessarie per individuare i responsabili del risarcimento in caso di gravi conseguenze ambientali fin dal rilascio dell’autorizzazione. Un ultimo punto importante è quello della partecipazione di cittadini, amministrazioni e enti dei territori interessati dalle richieste.

A preoccupare sono anche gli effetti che un’indagine attraverso airgun, tecnica geofisica di rilevazione di giacimenti nel sottofondo marino, può produrre sulla fauna acquatica, in particolare sui mammiferi marini. "Studi dimostrano come gli effetti si ripercuotano anche a 3mila miglia dalla sorgente, inducendo i cetacei a modificare il loro comportamento", denuncia Legambiente. Poi, c’è l’interazione di tali attività con la pesca: secondo uno studio del Norvegian Institute of Marine Research, si può registrare una diminuzione del pescato anche del 50% intorno ad una sorgente sonora che utilizza airgun.

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