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Ambiente: in Italia 40% acque non trattate finisce in fiumi e mare/Scheda

27 giugno 2016 | 14.28
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(foto Legambiente/Nicola Romano)
(foto Legambiente/Nicola Romano)

In Italia il 40% delle acque che non viene trattato è riversato nei fiumi, quindi in mare. E' la fotografia della depurazione nel nostro Paese scattata dal rapporto Mare Monstrum 2016 di Legambiente. Secondo quanto riportato sull’annuario Ispra 2014 per la conformità dei sistemi fognari delle acque reflue urbane, che restituisce il grado di copertura della rete fognaria nei diversi agglomerati, a livello nazionale la percentuale di carico organico convogliato in fognatura è pari al 94% del carico generato, mentre quello trattato con sistemi individuali è pari al 5%.

Nonostante la buona copertura del servizio (99%), però, l’unità di missione del governo Italia Sicura riporta in una nota come nel 21% dei maggiori comuni italiani la rete fognaria non è allacciata a un depuratore, impianto fondamentale per garantire la rimozione di scarichi inquinanti che si riversano nei corsi d’acqua e nel mare.

Secondo l’Istat (Censimento delle acque per uso civile, giugno 2014), nel nord e al centro, il 98% degli impianti di depurazione sono funzionanti, al sud il 95%, mentre la situazione peggiore si riscontra nelle isole (Sardegna e Sicilia) in cui risulta inattivo il 13% degli impianti.

depurazione e procedure d'infrazione

E ancora: solo il 44% degli impianti italiani effettua un trattamento più spinto di quello primario e gli esempi più virtuosi si trovano al sud e nelle isole. Oltre la metà degli impianti (il 56%) effettua invece un trattamento di livello primario, con un minore abbattimento del carico inquinante. Dai numeri risulta che il grado di copertura nazionale del servizio di depurazione è pari a circa l’88%. Se invece consideriamo la capacità di depurazione degli impianti con il carico inquinante potenziale generabile nel territorio, secondo Istat la copertura del servizio scende al 57%, con ben il 40% delle acque che non viene trattato ed è riversato nei fiumi, quindi in mare.

A conferma del deficit depurativo denunciato da Legambiente, ci sono le due condanne delle procedure d’infrazione 2004/2034 e 2009/2034. La prima è relativa agli agglomerati maggiori di 10mila abitanti equivalenti che scaricano in aree “sensibili”, la cui violazione da parte di 110 agglomerati è stata accertata con la sentenza 19 luglio 2012 della Corte di Giustizia. La seconda è relativa alla non attuazione della direttiva 91/271/Cee per 41 agglomerati con più di 2mila a.e. La sentenza è stata emessa il 10 aprile 2014.

L’Italia ha subito anche una terza procedura d’infrazione, avviata all’inizio del 2014, relativa agli agglomerati con carico generato superiore a 2mila a.e. Procedimenti che riguardano un agglomerato su tre. Le Regioni maggiormente interessate sono la Campania, con l’81% degli agglomerati condannati o interessati in procedure d’infrazione, la Sicilia, con il 73% e la Calabria con il 62%.

Legambiente, scontiamo un ritardo di almeno 10 anni

Se guardiamo però anche al numero assoluto di agglomerati coinvolti, insieme alla Sicilia, con 244 agglomerati, e alla Calabria con 148, nei primi posti c’è anche la Lombardia con 127 agglomerati, seguita dalla Campania (122). In queste sole quattro regioni è concentrato oltre il 60% degli agglomerati fuori norma. La condanna del 2012 riguarda dunque Sicilia in primis, con 62 agglomerati, seguita dalla Calabria (18), Campania (10), Liguria (9), Puglia (6), Friuli Venezia Giulia (2), Lazio (1) e Abruzzo (1).

L'ultimo aggiornamento sulla situazione arriva dall'ottavo rapporto sull’attuazione della Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, pubblicato dalla Commissione Europea nel marzo del 2016. I controlli di conformità per gli agglomerati con più di 2mila abitanti equivalenti riportano il 94% degli agglomerati conformi all’articolo 3 della direttiva (reti fognarie e sistemi individuali o altri sistemi adeguati). Poco più della metà (64%) conformi all’articolo 4 (trattamento secondario o biologico).

La situazione peggiore è quella relativa agli impianti che scaricano in aree sensibili come laghi, mare e bacini fluviali: gli agglomerati conformi sono solo il 33%. Il nostro Paese sconta un ritardo di almeno 10 anni e dovrà pagare, a partire da quest’anno, ben 480 milioni l'anno di sanzioni. Inoltre, sino a quando le opere di messa in conformità non saranno terminate, dovremo pagare quasi 800mila euro al giorno.

negli ultimi anni stanziati oltre 3 mld euro, ma criticità irrisolta

A gennaio del 2016 è scaduto il termine ultimo per adeguarsi ai contenuti della sentenza di condanna emessa nel luglio 2012 per le carenze infrastrutturali dei sistemi di raccolta e trattamento degli scarichi fognari in 88 agglomerati urbani con più di 15mila abitanti. Sono le regioni a dover pagare le sanzioni e il governo italiano ha già annunciato di volersi avvalere del potere di rivalsa secondo il quale potrà bloccare i fondo destinati a comuni e regioni. Per avere un’idea, si va dai 185 milioni per la Sicilia, ai 5 per Valle d’Aosta e Veneto.

Eppure negli ultimi anni sono stati stanziati oltre 3 miliardi di euro. In particolare, la delibera Cipe n.60 del 30 aprile 2012 aveva destinato alle regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) la somma complessiva di euro 1.643.099.690,59 a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013, per interventi che attengono ai settori di collettamento e depurazione delle acque. Fondi che però ancora oggi non sono stati utilizzati o a cui non hanno corrisposto interventi efficaci e risolutivi per risolvere le criticità del sistema depurativo.

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