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Alimenti: con o senza olio di palma, creme alla nocciola a confronto

28 luglio 2016 | 16.49
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(Fotolia)
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La guerra all'olio di palma inizia dalle creme alla nocciola spalmabili. In una crema alla nocciola infatti il grasso vegetale è irrinunciabile quanto le nocciole e per chi ne vuole fare a meno le alternative non sono molte. Per capire meglio come orientarsi, l'associazione dei consumatori tedesca, Stiftung Warentest , ha testato 21 delle creme alla nocciola più diffuse, tra cui 6 prodotti biologici e il risultato non è stato affatto scontato.

Delle uniche due che non utilizzano l'olio di palma, una supera il test ma non convince dal punto di vista del gusto (la Nusskati di Aldi) e l'altra, che è anche la più costosa (la Nocciolata), è stata bocciata a causa dei contaminanti. Ma partiamo dai migliori. Secondo i tedeschi al top c'è la famosa Nutella della Ferrero che prende 'ottimo' per quanto riguarda aspetto, odore e sapore e in generale ottiene ottimi risultati. Real, Kaufland, Lidl e Netto Marken-Discount offrono, invece, creme alla nocciola buone e convenienti mentre la migliore a marchio bio è di Gepa.

La crema da spalmare più cara, la Nocciolata dell'impresa di famiglia italiana Rigoni di Asiago, con olio di girasole e burro di cacao, ottiene buoni risultati dal punto di vista sensoriale, ma a causa dei contaminanti non supera il test dei tedeschi. L'abbassamento della valutazione della Nocciolata è dovuto alle sostanze critiche contenute nel grasso: 3-monocloropropandiolo esteri (3-MCPD esteri) e glicidil esteri, che possono generarsi durante la raffinazione dell'olio alimentare. Durante la digestione possono prodursi 3-MCPD e glicidolo. Si ritiene che il 3-MCPD potrebbe essere cancerogeno, mentre il glicidolo lo è con tutta probabilità, sottolinea l'associazione.

Nel marzo del 2016 l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato i risultati di uno studio sui rischi per la salute legati proprio alla presenza di 3- e 2-monocloropropanediolo (MCPD) e dei relativi acidi grassi nel cibo che si sviluppano durante i processi di lavorazione di grassi e olii vegetali, e che sono quindi presenti in molti grassi vegetali (anche in quelli di mais, arachidi, colza, girasole eccetera) e non solo nell'olio di palma. Perché tali sostanze si formino è necessario che gli olii siano trattati a temperature superiori ai 200 °C.

La risposta di Rigoni di Asiago. Dopo le prime raccomandazioni dell’Efsa del 2014, “ci siamo attivati, nel più breve tempo possibile, studiando nuovi metodi di lavorazione per eliminare questi contaminanti” commenta all’Adnkronos, Andrea Rigoni, ad Rigoni di Asiago. Queste sostanze, infatti, spiega Rigoni, “si sviluppano a temperature molto alte, cosa che accade anche per altri grassi vegetali. Solo che nella maggior parte dei grassi vegetali usati dall’industria, queste sostanze vengono eliminate attraverso altri trattamenti chimici, noi invece facciamo biologico e quindi abbiamo deciso di fare altri test sulla materia prima e di cercare un sistema di lavorazione che mitigasse o eliminasse queste sostanze attraverso il giusto metodo di lavorazione”.

Da dicembre 2015, dunque, “dopo aver messo a punto un metodo di lavorazione diverso, siamo riusciti a ottenere una quantità di 2-3 MCPD al di sotto della rilevabilità. Rigoni – ribadisce l’ad - ha operato nell’interesse di tutti i consumatori e nella trasparenza che contraddistingue l’azienda”.

Il parere dell’esperto. Dall'indagine tedesca, secondo Agostino Macrì, esperto di sicurezza alimentare per l'Unione Consumatori, emerge che la presenza di questi contaminanti “non è legata all'olio di palma, ma ai sistemi di trattamento termico” e abbiamo tutta una serie di sostanze che “si possono formare durante i processi di cottura che possono essere pericolosi”.

Ad esempio, spiega Macrì, “con una semplice frittura fatta in casa con qualsiasi olio si può formare l'acrilamide” che, secondo il parere dell'Efsa può aumentare il rischio di sviluppare il cancro. Il problema, dunque, non è l'olio che si utilizza “ma è di come si lavorano questi prodotti”. Stando ai risultati della ricerca, dunque, “i prodotti con olio di palma sembrano essere più sicuri rispetto a quelli fatti con altri oli”.

Dal punto di vista nutrizionale, inoltre, l'olio di palma è salito sul banco degli imputati perché contiene una quantità elevata di acidi grassi saturi, ma questo è un problema “che riguarda tutti i grassi” compreso burro e margarina. Basti pensare che, secondo i dati Inran, nell'olio di palma ci sono 49,3 grammi di grassi saturi su 100 grammi, nel burro ce ne sono 51,3 e nel burro di cacao 60. Anche qui, sottolinea Macrì, “il problema non è l'olio di palma ma l'elevato consumo di acidi grassi saturi. E' dunque solo una questione di dosi”.

Sul tema anche l'Airc, l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro: l'olio di palma non è il miglior grasso esistente ma neanche il peggiore e molti prodotti che mostrano sulla confezione la scritta "senza olio di palma" contengono olio di cocco o burro di cacao, che sono altrettanto nocivi, anche sul fronte ambientale.

Il suggerimento ai consumatori? Variare le proprie fonti alimentari, evitare abusi senza però demonizzare o indire crociate non sempre sostenute da sufficienti motivazioni scientifiche, soprattutto se si guarda al problema nella sua interezza e non solo nei dettagli.

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