Il consumo di suolo in Italia non conosce soste e continua ininterrottamente a ricoprire aree naturali e agricole con asfalto e cemento, fabbricati residenziali e produttivi, centri commerciali, servizi e strade. Risultato: secondo l'Ispra sono stati ormai intaccati oltre 23.000 chilometri quadrati del nostro territorio, una superficie pari all'Emilia Romagna.
E poiché il nostro Paese è per circa il 35% a carattere montuoso, a fare le spese della cementificazione sono le aree di pianura, le più fertili, che rappresentano circa il 23% dell’intera superficie italiana, e un’ampia parte di quel restante 42% di superficie composto di colline di altezza inferiore agli 800 metri.
Tra le conseguenze del fenomeno, i costi generati dalla perdita di servizi ecosistemici (come l’approvvigionamento di acqua, la regolazione dei cicli naturali, la capacità di resistenza a eventi estremi e variazioni climatiche, il sequestro del carbonio e i servizi culturali e ricreativi), solitamente non contabilizzati. Le stime parlano di una cifra compresa tra i 538,3 e gli 824,5 milioni di euro l’anno, che si traducono in una perdita per ettaro compresa tra i 36.000 e i 55.000 euro.
Il paradosso è che a fronte del cemento inarrestabile, secondo l’Istat l'Italia conta oltre 7 milioni di abitazioni non utilizzate, 700mila capannoni dismessi, 500mila negozi definitivamente chiusi, 55mila immobili confiscati alle mafie. Tutto ciò a fronte di un andamento demografico che indica una crescita debole (nel 2017 la popolazione italiana si attesta su 60.579.000 persone, circa 86mila in meno rispetto al 2016).
E se tra gli edifici di nuova costruzione oggi in vendita nel nostro Paese si registra un invenduto pari a 90.500 unità (dati nel 2015), nel contempo sono presenti immobili vetusti e quasi inutilizzabili che avrebbero invece bisogno di essere ristrutturati e riqualificati.
E ancora: a causa della perdita di suoli fertili, l'Italia oggi non è in grado di garantire ai cittadini la sovranità alimentare. La Superficie Agricola Utilizzata (la cosiddetta Sau) si è infatti ridotta a circa 12,7 milioni di ettari (nel 1991 era quasi 18 milioni di ettari) e il ministero per le Politiche Agricole rileva che ad oggi produciamo appena l’80-85% del fabbisogno primario alimentare contro il 92% del 1991. Significa che se, improvvisamente, non avessimo più la possibilità di importare cibo dall’estero, ben 20 italiani su 100 rimarrebbero a digiuno.
Una situazione che si rispecchia a livello globale con la Terra che, negli ultimi 40 anni, tra erosione o inquinamento ha perso un terzo del suo terreno coltivabile, con conseguenze pesanti in presenza di una domanda di cibo che sale alle stelle: quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto a un tasso che supera di gran lunga il ritmo dei processi naturali in grado di sostituire il suolo consumato.
Per queste ragioni, cittadini e associazioni da tempo chiedono che il contrasto al consumo di suolo diventi una priorità nell’agenda parlamentare, cosa che finora non è avvenuta, essendosi arenata al Senato la legge per contenere il consumo di suolo agricolo.
In vista della prossima legislatura, ci riprova il Forum Salviamo il Paesaggio, rete civica nazionale cui aderiscono oltre 1.000 organizzazioni e molte migliaia di cittadini che ha elaborato un testo normativo che punta a mettere fine al consumo di suolo e non limitarlo al semplice contenimento, alla tutela dei suoli ancora liberi, compresi quelli all’interno dell’area urbanizzata, e alla soluzione della questione del patrimonio edilizio inutilizzato e in stato di abbandono.
L'invito è alla società civile e al mondo ambientalista a sostenere e promuovere la trasformazione della proposta normativa in legge e a tutte le forze politiche a valutare e sostenere il testo fin dalle prime ore della prossima legislatura.