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16 anni e l'inferno vissuto in Libia: "Così mi hanno torturato"

29 gennaio 2019 | 19.42
LETTURA: 3 minuti

Immagine d'archivio (Afp) - AFP
Immagine d'archivio (Afp) - AFP

di Rossana Lo Castro

Quando è arrivato in Italia aveva poco più di 16 anni e sul corpo i segni delle torture subite in Libia. Adesso è maggiorenne, ha in tasca un diploma di scuola media e un regolare contratto di lavoro come fattorino. Ma il sogno per il giovane migrante originario del Bangladesh, che a Palermo è arrivato circa due anni fa a bordo di una nave di Medici senza Frontiere e che in città ha conosciuto "quel po' di felicità che la vita mi ha regalato", potrebbe infrangersi presto. Poco tempo fa, infatti, si è visto respingere la richiesta per la protezione umanitaria. "Le ben provate e inaudite violenze subite in Libia" non giustificano la concessione della protezione per la commissione che, "anticipando le norme contenute nel decreto Salvini - dice all'Adnkronos Sergio Cipolla, presidente di Ciss, la Ong siciliana da 33 anni attiva nel Sud del mondo e in Italia nella difesa e promozione dei diritti umani fondamentali -, ha respinto la richiesta".

"Abbiamo presentato ricorso - racconta Cipolla che del giovane originario del Bangladesh è stato tutore -, nell'attesa ha diritto al permesso di soggiorno, ma il rischio che possa diventare anche lui un clandestino è concreto. Molti minori oggi sono letteralmente terrorizzati da questa possibilità, alcuni sono caduti in depressione, si sentono minacciati. Il decreto Sicurezza è un gravissimo passo indietro". Un falso storico per Cipolla il racconto che i media fanno dei profughi. "Non sono ragazzi che non fanno niente e trascorrono il tempo tra social e telefonini, è assolutamente falso". Quando il giovane del Bangladesh è arrivato in Italia era quasi analfabeta. "Ha imparato una lingua, si è impegnato nello studio, si è sentito accolto e ha visto l'Italia come un Paese ospitale. Ma adesso tutte le sue certezze vacillano".

Del suo passato non parla volentieri. "Ci sono voluti mesi per costruire un rapporto. Ancora oggi ricordare il suo passato lo turba". Durante il viaggio ha visto morire tra le sue braccia un uomo. "E' caduto dal camion a bordo del quale viaggiavano - racconta Cipolla -, è rimasto ferito, ma nessuno si è occupato di curarlo ed è morto davanti a lui". Dell'inferno vissuto in Libia il giovane migrante porta i segni sul corpo. La sua famiglia era poverissima, impossibile ricattarla economicamente per ottenere più soldi, così i trafficanti di essere umani hanno sfogato tutta la loro crudeltà.

"Gli hanno infilato un braccio dentro una porta e l'hanno chiusa più volte fino a quando non gli hanno spezzato l'arto - denuncia il presidente di Ciss -. E mentre il ragazzino veniva torturato, un altro carnefice filmava tutto con il cellulare. Quando è sbarcato a Palermo era molto provato. Terrorizzato. Poco a poco abbiamo conquistato la sua fiducia, ha ricominciato a vivere, ma adesso anche per lui il rischio è di diventare un invisibile".

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