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Ambiente: esperto su bonifiche, Italia avanti nella ricerca ma servono risorse

22 gennaio 2016 | 15.05
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Pronto intervento ambientale (foto RemTech)
Pronto intervento ambientale (foto RemTech)

Quaranta siti nazionali e migliaia di siti regionali contaminati. Per lo più da metalli pesanti, oli minerali e idrocarburi e in misura minore da fenoli, cianuri e altre sostanze: è l’Italia del suolo e delle acque inquinate che richiede grandi risorse economiche ma anche competenze scientifiche, tecnologie e ricerca per trovare soluzioni efficaci. "In Italia si fa molta ricerca in questo settore se si considera anche il numero dei brevetti richiesti in questi ultimi anni. Siamo al passo con l'Europa, con Inghilterra, Germania, Danimarca in particolare”, spiega all’Adnkronos Silvia Paparella, project manager di RemTech, evento italiano specializzato sulle bonifiche dei siti contaminati, la protezione e la riqualificazione del territorio.

Ma molto ancora si può fare. "In Italia il mercato delle bonifiche è stato fortemente rallentato dalla crisi globale e dalla mancanza di risorse pubbliche. Come già avviene negli Stati Uniti, si potrebbe stanziare un fondo per favorire, incentivare e sviluppare questo mercato", sottolinea l’esperta.

Per fare alcuni esempi eccellenti sul fronte dell’innovazione, spiega Paparella, "in Italia abbiamo un'azienda che ha brevettato un processo per la bonifica del sottosuolo e delle acque sotterranee da composti organici volatili e semi-volatili. Un'altra ha introdotto sul mercato un prodotto innovativo nel trattamento degli acquiferi contaminati, che consente un trattamento rapido fino a concentrazioni estremamente basse, addirittura in pochi giorni o settimane. Una terza ha brevettato un reagente per controllare attivamente, nelle applicazioni di risanamento ambientale, la crescita e la proliferazione dei batteri metanigeni, che può essere usato come supplemento ai reagenti tradizionali".

"Una quarta - continua - ha brevettato un sistema per la bioremediation (biorisanamento, ndr) di acquiferi contaminati, in grado di stimolare la flora aerobica autoctona tramite l'iniezione di ossigeno puro micro-diffuso in falda per la degradazione dei contaminanti biodegradabili disciolti. Senza poi contare l'ampio e crescente mercato delle tecnologie per il monitoraggio ambientale del territorio e dei droni".

Ad oggi gli interventi nei siti si avvalgono principalmente di attività di "scavo e conferimento in discarica (50%)" insieme a "trattamenti fisico-chimici in situ (15%), trattamenti fisico-chimici ex situ e off site con escavazione (15%), trattamenti biologici in situ (10%), trattamenti biologici ex sito e off site con escavazione (10%)". Per le acque, le tecnologie disponibili intervengono prima di tutto sul fronte del "contenimento (45%)" e in misura minore attraverso "trattamenti biologici in situ ed ex situ e trattamenti fisico-chimici in situ".

"Il settore delle bonifiche è relativamente giovane, c'è ancora tanto da fare - prosegue la geologa - Oggi si sta andando nella direzione che tende a privilegiare l'impiego delle tecnologie di bonifica in-situ, ovvero quelle tecnologie che non prevedono lo ‘spostamento’ dei materiali inquinati ma il trattamento sul posto. Ne sono un esempio le barriere permeabili reattive, le tecnologie di ossido-riduzione Isco, la bioremediation sulle quali si sta molto lavorando in Italia ma non solo".

Insomma la ricerca può rappresentare un volano per le aziende del settore. "Tante imprese italiane lavorano in Italia ma anche all'estero, nei Paesi dell'Est-Europa, Cina, Russia, per esempio, tutti Paesi accomunati da una crescente necessaria sensibilità verso la tutela dell'ambiente e della salute - conclude Paparella - Alcune imprese italiane lavorano inoltre in Sudafrica per la depurazione delle acque o in Brasile sul tema dei rifiuti".

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