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Tumori, urologi Siu: "Nuova chirurgia è conservativa, in 40% casi organo si salva"

19 ottobre 2020 | 16.37
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Salvare e conservare: è il nuovo 'must' della chirurgia urologica in oncologia, portando ottimi risultati dal punto di vista dell’efficacia e della sicurezza. È in crescita, infatti, la chirurgia conservativa, quell’insieme di trattamenti – prevalentemente gestiti con i robot – che puntano a salvare l’organo o la ghiandola colpita dalla neoplasia, invece di asportarlo. Ogni anno in Italia circa il 40% dei pazienti con patologia oncologica urologica, che fino a qualche anno fa si doveva sottoporre ad interventi che comportavano l’asportazione di un organo (prostata, rene o vescica) oggi invece può giovarsi di approcci il cui obiettivo principale è contrastare al meglio la malattia, salvaguardando nello stesso tempo quelle funzioni fisiologiche che più fortemente coinvolgono la qualità della vita del paziente: dalla continenza alle capacità di erezione ed eiaculazione. Se ne è parlato al 93° Congresso nazionale della Siu, la Società italiana di urologia, a Roma.

Oggi i tumori della prostata, dei reni e della vescica prevedono valide alternative alla chirurgia radicale. Dalla terapia focale agli ultrasuoni per la prostata, alla terapia ‘trimodale’ (chemioterapia, radioterapia e resezione endoscopica) dedicata alla vescica, si passa poi al grande ruolo della robotica e al suo veloce sviluppo degli ultimi 10 anni. Nel caso del tumore della prostata, un trattamento mirato che non ne comporti l’asportazione, infatti, è la terapia focale con utilizzo di ultrasuoni ad alta intensità: "Sembra avere risultati oncologici soddisfacenti, senza portare a una compromissione funzionale - fa notare Francesco Porpiglia, ordinario di Urologia dell’Università degli Studi di Torino e Responsabile dell’Ufficio Scientifico della Siu - Viene effettuato mediante una sonda ecografica transrettale dedicata, in grado di emettere speciali ultrasuoni che provocano la morte delle cellule tumorali. La degenza postoperatoria è di 24-48 ore e gli effetti collaterali in termini di sintomatologia irritativa o ostruttiva (getto debole o urgenza minzionale) sono minimi. Nessun problema si riscontra sull’erezione e sull’eiaculazione. A 5 anni di follow-up la sopravvivenza cancro specifica può raggiungere il 99%".

La chirurgia conservativa è sempre più considerata anche per il cancro del rene: "Oggi il 70% dei pazienti con tumore confinato al rene può beneficiare di questo tipo di chirurgia – aggiunge Walter Artibani, segretario generale della Siu – In particolare, grazie alla robotica, l’approccio diretto a salvaguardare l’organo può essere proposto anche in caso di masse tumorali complesse da asportare. Questo perché mantenere una valida funzione renale (in termini di creatinina) è fondamentale anche per aumentare la sopravvivenza globale della popolazione. L’equilibrio tra sicurezza oncologica e vantaggio funzionale è attualmente al centro di un ampio dibattito soprattutto tra i chirurghi esperti: pur essendo in grado tecnicamente di asportare il tumore voluminoso o molto difficile da eliminare, si trovano di fronte al dubbio se preservare l’organo sia una soluzione più giusta rispetto all’intervento più radicale".

Discorso analogo per il trattamento del tumore di vescica muscoloinvasivo: “"ccanto alla soluzione che oggi costituisce la prima scelta, cioè l’asportazione della vescica con derivazione urinaria, oggi si sta facendo sempre più strada un nuovo approccio multidisciplinare tra urologo, radiologo ed oncologo che, per pazienti selezionati (ad esempio con comorbilità che non rendono possibile la chirurgia radicale e tutti i pazienti fortemente motivati a conservare la vescica), costituisce sicuramente una promettente alternativa – osserva Porpiglia – Si tratta della terapia cosiddetta ‘trimodale’, che mettendo insieme i vantaggi di chemioterapia, radioterapia e resezione endoscopica del tumore della vescica, permette di controllare il tumore senza la necessità di asportazione dell’organo con ovvi benefici per la qualità di vita del paziente. Con questo tipo di approccio, la sopravvivenza cancro specifica a 5 anni è del 65%. Elemento chiave per la buona efficacia del trattamento - aggiunge - è che la radicalità della resezione endoscopica del solo tumore (senza asportazione della vescica), che fa variare il tasso di risposta completa dal 57% al 79%. I vantaggi? Permette di ottenere buoni risultati oncologici, preserva la minzione fisiologica e assicura una buona qualità della vita al paziente perché mantiene erezioni, eiaculazioni e fertilità".

Al centro di questa nuova chirurgia conservativa c’è la grande evoluzione tecnologica avuta con l’avvento della chirurgia robotica (che offre al chirurgo la possibilità di 'vedere in 3D', garantendo movimenti sempre più fini e precisi) e l’introduzione di nuove piattaforme per trattamenti mini-invasivi. Questo insieme alla sempre maggior richiesta da parte dei pazienti di poter preservare le proprie funzioni fisiologiche in termini di capacità minzionale e sessuale; hanno fortemente spinto la chirurgia del terzo millennio in questa direzione.

Nell’ambito del tumore prostatico, grazie alla 'chirurgia di precisione', che ha l’obiettivo di preservare il più possibile la continenza e la potenza postoperatoria, la robotica permette di poter garantire un tasso di continenza postoperatoria già nell'immediato superiore al 70%, e al 95% a tre mesi; mentre circa il 60% dei pazienti si può giovare di una preservazione dei nervi deputati all’erezione "con una ripresa della funzionalità erettile a 3 mesi superiore al 60%, che si spinge fino quasi al 90% a un anno dall’intervento nei pazienti giovani – conclude Porpiglia – Inoltre, l’introduzione di nuove modalità di visualizzazione del tumore, come l’utilizzo delle immagini 3D e della realtà aumentata, permettono di massimizzare i risultati oncologici anche in caso di malattia localmente avanzata".

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