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25 aprile, Rachele Mussolini: "La gente è disperata, c'è poco da cantare"

23 aprile 2020 | 12.15
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La nipote del Duce: "Ma rispetto chi manifesta per la Liberazione. A vittime coronavirus dedicherei altra data"

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"Il Paese piange: la gente è disperata e rischiamo una rivolta sociale, c’è ben poco da cantare. Piuttosto rimbocchiamoci le maniche". Così Rachele Mussolini, nipote del Duce, commenta all’Adnkronos l’iniziativa dell’Anpi di intonare 'Bella ciao' dalle finestre il 25 aprile, festa delle Liberazione. "L'Italia è stata travolta dallo tsunami coronavirus, un anniversario sottotono sarebbe stato più opportuno. Rispetto, tuttavia, chi ha voglia di festeggiare, le ricorrenze di tutte la parti politiche, ma, per favore, senza che vi siano morti di Serie A e di serie B”, sottolinea la consigliera comunale di Roma (lista civica Con Giorgia). Che a proposito della canzone simbolo della Resistenza cantata all’estero per omaggiare l’Italia ritiene inadeguata la scelta: "Mi è salito il sangue al cervello quando ho ascoltato la notizia, perché se si vuole lanciare un messaggio di solidarietà unitario allora si pensi a cantare l’inno di Mameli, non Bella ciao". E la proposta di La Russa? "Non sono in disaccordo, ma dedicherei alle vittime del coronavirus un’altra data che non sia il 25 aprile".

L’anniversario della Liberazione per Rachele Mussolini è semplicemente la festa di San Marco: "Si chiama così il padre delle mie figlie e per me quel giorno è la sua festa". Poi, più seria: "Il mio stesso dna non mi consente di festeggiare il 25 aprile". Sebbene, ribadisce, "rispetti le ricorrenze di tutte la parti politiche e abbia, tra l’altro, sempre denunciato l'errore delle leggi razziali (anche se in Italia fu cosa ben diversa di quanto accaduto in Germania), tuttavia, al di là dei fatti, io sono parte coinvolta della storia per ragioni familiari ed emotive".

"Mio padre quando perse il suo aveva solo 17 anni. Non riusciva a sopportare - confida Rachele Mussolini che è stata assai legata al papà Romano, scomparso nel 2006 - la vista delle immagini di piazzale Loreto ogni volta che venivano proiettate. Il suo era solo il dolore di un figlio che emotivamente mi ha trasmesso attraverso sentimenti di tristezza e inquietudine. Al di là del fatto che potesse essere un criminale - e non era il caso di mio nonno - vedere tuo padre a testa ingiù è uno scenario che nessun figlio avrebbe il coraggio di guardare. Dolore riflesso: anch’io come mio padre ho il rifiuto di quelle immagini. Fanno male al cuore".

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