37 anni fa a Cinisi l'omicidio del giovane comunista che da radio Aut combatteva la mafia
Togliere la targa della via intitolata a Salvatore Badalamenti, fratello di Tano Badalamenti. Nel pomeriggio sarà il sindaco di Cinisi a compiere l'atto, guidando il corteo che ricorderà i 37 anni dall'omicidio di Peppino Impastato, attivista comunista 'suicidato' dalla mafia il 9 maggio del 1978. Un altro piccolo passo, non senza significato simbolico, dopo quanto fatto nel 2010, quando la chiave della casa di Corso Umberto, dove abitava il boss Gaetano Badalamenti, era stata consegnata al sindaco di Cinisi, per poi essere data in uso all''Associazione Culturale Peppino Impastato'. Il 7 dicembre 2012 invece la casa di Peppino Impastato, quella a "cento passi" dalla casa del boss, viene riconosciuta bene culturale come "testimonianza della storia collettiva e per la sua valenza simbolica di esempio di civiltà e di lotta alla mafia".
Il modo in cui fu ucciso Impastato era stato architettato, invece, per farne una morte perfetta, di cui non parlare più. Un terrorista comunista che muore per imperizia, mentre organizza un attentato. Giornali, forze dell'ordine e inquirenti avanzano, in tempo reale - il giorno dopo, perché internet non c'era, ma c'era la radio, la stagione delle radio libere, come Radio Aut, quella da cui Impastato attaccava la mafia, lì, a quei tempi più rumorosa di qualsiasi post e tweet dei nostri giorni - di un atto terroristico, in cui l'attentatore sarebbe rimasto vittima di se stesso, una storia alla Feltrinelli, anche lui morto ucciso dal suo esplosivo che serviva per oscurare il Congresso del Pci che incoronava Berlinguer segretario, il 14 marzo del 1972.
Una morte atroce, quella di Impastato, dilaniato dall'esplosivo sui binari del treno, scoperta nelle stesse ore in cui le Br restituivano alla famiglia il corpo senza vita del presidente Moro in via Caetani a Roma, secondo "le ultime volontà del presidente", come disse il terrorista Mario Moretti. Per Impastato nessuna pietà: doveva sparire anche da morto.
E ci furono 25 anni di oblio, fino a quando, la verità che tutti conoscevano - mandanti e killer mafiosi in azione per chiudere la bocca a chi ironizzava su 'Tano seduto' - divenne una verità giudiziaria: il 5 marzo 2001 la Corte d'assise di Palermo ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole per l'omicidio e lo ha condannato a trent'anni di reclusione, l'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo, come mandante.