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8 marzo: Manageritalia, donne manager crescono, ma non basta

07 marzo 2017 | 13.46
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8 marzo: Manageritalia, donne manager crescono, ma non basta

Le donne manager crescono, ma non basta. A dirlo Manageritalia, ricordando che le donne dirigenti nel settore privato sono cresciute del 20% negli ultimi 5 anni, mentre gli uomini sono calati del 6%. Nessuna vittoria o rivincita, ma una naturale sostituzione delle vecchie con le nuove generazioni che vedono entrare nella dirigenza molte più donne. Basti pensare che i dirigenti under 40 sono il 13% tra le donne e il 6% tra gli uomini. Resta il fatto che le donne sono ancora solo il 16% dei dirigenti privati. Ma le premesse per continuare la rincorsa ci sono tutte, tant’è che tra i quadri le donne, aumentate del 15% negli ultimi 5 anni, sono oggi il 29% del totale.

A livello di settori economici, quelli più rosa per i dirigenti sono i servizi (sanità e assistenza sociale 44% e istruzione 39% le donne) e parliamo del solo settore privato. Seguono le attività professionali scientifiche e tecniche (22%) e i servizi alle imprese (noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese 19%). Ultimi costruzioni, dove le donne pesano solo il 7,7% e la manifattura 12%). Uno scenario che ritroviamo specularmente con percentuali un po’ più alte tra i quadri.

Allarmante il dato sulla disoccupazione giovanile delle donne che è quasi raddoppiato negli ultimi 10 anni, passando dal 25,4% del 2006 al 42,6% del 2015. E se la disoccupazione è massima in Calabria (70,1%), altre sei regioni del Mezzogiorno sono sopra il 50%. Ma anche il Nord non è messo benissimo con la Lombardia al 33,5% e il virtuosissimo Trentino Alto Adige ultimo, ma quindi più virtuoso di tutti, al 20,6%.

"I cambiamenti in atto nella società e nel mondo del lavoro -dice Marisa Montegiove, coordinatrice del Gruppo Donne Manager di Manageritalia- ci impongono di superare quelle 'distorsioni' che sono un freno per costruire una società inclusiva, ma ancor più capace di competere e creare sviluppo e occupazione. Seppure il dato sulla disoccupazione giovanile riponga le donne al centro, crediamo che si debba guardare al problema in modo più ampio".

"Passiamo, quindi, dalla parità tra i sessi -afferma- alla gestione attiva, equa e capace di produrre valore per tutti, di tutte le diversità. Quelle di genere, anagrafiche, culturali, etniche e religiose. Perché la diversità è ricchezza e per creare innovazione e sviluppo in ogni campo, nel mondo del lavoro, come nella società, dobbiamo sfruttarla, anche solo in modo egoistico, guardando solo al merito. Un modo per permettere ai talenti di tutti di esprimersi e volgere quelli di chi ne ha di più a favore di tutti".

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