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De Marchi furioso: "Stufo di rischiare la vita per automobilisti noncuranti"

Sfogo sui social del ciclista, che ha rischiato di essere investito mentre si allenava. Il fratello di Michele Scarponi: "Fermatevi tutti per protesta"

Alessandro De Marchi  (Foto IPA/Fotogramma)  - FOTOGRAMMA
Alessandro De Marchi (Foto IPA/Fotogramma) - FOTOGRAMMA
18 novembre 2019 | 14.10
LETTURA: 4 minuti

di Paolo Bellino
"Sono stufo, letteralmente stufo e con i nervi a fior di pelle".
Inizia così il lungo sfogo, sulla sua pagina Facebook, del cislista del team Ccc Alessandro De Marchi, che ieri -secondo quanto racconta- ha rischiato in allenamento di venire ucciso da un automobilista distratto; ipotesi che, dalla morte di Michele Scarponi in poi, non sembra accennare a scomparire dalle strade italiane e anzi semmai peggiora.

"Ho ancora male alla gola dal troppo urlare e inveire contro l’ennesimo automobilista durante l’ennesimo 'quasi incidente' in cui sono stato coinvolto oggi. Non ce la faccio più". Il ciclista stava salendo verso il centro di Buja, il suo paese, in provincia di Udine, quando è stato sfiorato ad alta velocità da una grossa automobile. Dopo un breve alterco l'automobilista riparte "sgommando per fermarsi 200m dopo di fronte ad un’edicola. Arrivo giusto per fare la foto a targa, auto e guidatore (mentre scende per andare all’edicola ) e sentirmi ancora maledire dal soggetto".

"Caro automobilista ignorante, riguarda bene la mia faccia -scrive De Marchi- , riguarda la faccia di quello che stavi quasi per ammazzare stamattina. Perché si, caro automobilista ignorante, il “toccarmi” di cui parlavi, nella migliore delle ipotesi mi avrebbe mandato dritto all’ospedale o su una carrozzina, nella peggiore dritto in una bara".

De Marchi finisce con un appello agli "automobilisti in generale: merito tutto questo ? Davvero merito di rischiare la pelle per il semplice fatto di pedalare su di una strada troppo stretta o troppo trafficata? O perché mi sono spostato troppo in mezzo alla careggiata e vi ho fatto rallentare ? Davvero merito di morire perché vi ho momentaneamente ostacolato? Riflettete: potete uccidere con un’auto! E non ucciderete un semplice ciclista : ucciderete un marito, una moglie, un padre o una madre, un amico".

"Caro Alessandro, vorrei fare alcune riflessioni con te. Innanzitutto ti abbraccio forte come non mai perché sei vivo e sei qui". Inizia così una lunga lettera aperta di Marco Scarponi, fratello di Michele Scarponi, ucciso nel 2017 dal conducente di un furgone, ad Alessandro De Marchi, ciclista del Team Ccc che ha raccontato sui suoi social di aver scampato alla morte sotto un'automobile per un soffio. "Poi ti abbraccio ancora per avere raccontato quello che ti è successo e per il modo in cui l’hai raccontato. Da quando è nata la Fondazione Michele Scarponi non abbiamo passato un giorno senza ricevere notizie simili al tuo sfogo o peggio ancora. Come ben sai muore in Italia un ciclista ogni 30 ore. Ogni 30 ore vuol dire che non c’è tregua, che non si respira, che non si può più sognare niente. Che pedali sulla soglia della fine. Per quale motivo ti alleni in bici su queste strade quando non viene garantita la sicurezza minima?"

Da qui la proposta: "Perché non vi fermate tutti, tu e tuoi colleghi professionisti? Ma chi soprattutto, oltre la pagina fb personale di ognuno di noi, deve denunciare questa violenza quotidiana e proteggere i ciclisti sportivi come te? Nessuna volontà di cambiare lo status quo, vogliono distruggere il ciclismo su strada".

"La Federazione Ciclistica Italiana, caro Alessandro, cosa fa? Perché nessuno nel palazzo alza la voce? A parte Davide Cassani che ci mette tutto se stesso, io vedo il vuoto. Ascolto il vuoto. Un vuoto arredato da pubblicità di auto ovunque, soprattutto alle vostre competizioni. Zero prevenzione. Zero educazione. Nessun progetto degno di questo nome. Nessuna volontà di cambiare lo status quo. Anzi sembra che ci sia una gran voglia di distruggere, alla base, il ciclismo su strada".

"Nessuno ci sente, caro Alessandro -conclude Scarponi-, perché noi non siamo uniti e non abbiamo coscienza della gravità della situazione, se non quando ne veniamo coinvolti personalmente; e chi dovrebbe essere sul pezzo tutti i giorni, perché ne ha invece gli strumenti e la forza, ha altre cose più importanti da fare, a quanto sembra, che preoccuparsi della vita dei propri tesserati".

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