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Teatro: a Ravenna Festival in scena il 'futurismo' con la 'Vittoria sul Sole'

14 giugno 2017 | 10.01
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'Un'immagine della 'Vittoria sul Sole', opera 'futurista' in scena al Teatro Alighieri, nell'ambito di Ravenna Festival
'Un'immagine della 'Vittoria sul Sole', opera 'futurista' in scena al Teatro Alighieri, nell'ambito di Ravenna Festival

Nell’anno del centenario della Rivoluzione russa, dei 'dieci giorni che sconvolsero il mondo', Ravenna Festival riporta in vita il gigantesco laboratorio in cui allora si elaborò quella nuova grammatica della modernità, che presto si sarebbe scontrata con la cieca ostilità del totalitarismo, in un lacerante rapporto tra artisti, intellettuali e potere. La prima italiana della 'Vittoria sul Sole' ('Pobeda nad solncem') mercoledi' prossimo al Teatro Alighieri.

Il fragore della nuova arte avrebbe comunque superato 'il rumore del tempo' arrivando sino a noi, con tutta la sua dirompente forza innovativa. La stessa forza che il 3 dicembre 1913, al Teatro Luna Park di San Pietroburgo, scaturiva dunque dalla prima opera teatrale cubo-futurista della storia, capace di dividere il pubblico. Da una parte gli insulti e i fischi dei più 'conservatori', dall’altra l’entusiasmo e gli applausi lunghissimi di coloro che alle avanguardie artistiche riconoscevano il ruolo e il merito di aprire la strada a un mondo nuovo.

L'opera firmata da Krucenych, Matjusin, Malevic

A concepirla e realizzarla, tre dei più importanti artisti futuristi russi. Il poeta Aleksej Kručënych, impegnato nella scomposizione del linguaggio liberandolo dalle pastoie dei vecchi significati, verso una poesia a-logica e a-grammaticale, il compositore Michail Matjušin, che a quei versi risponde con suoni intrisi di quarti di tono e dissonanze affidati a due pianoforti, poi il pittore Kazimir Malevič (sue le scene ma anche i costumi) che proprio in questa opera, con il 'quadrato nero' del fondale, inaugura quello che sarà il Suprematismo.

A introdurre la pièce, il prologo di Velimir Chlebnikov, maestro, tra gli altri, di Majakovskij, e padre dello zaum’, tipica lingua futurista 'trasmentale', che alla parola applicava le stesse tecniche della pittura cubista, scomponendola e riassemblandola in nuovi agglomerati fonici con inedite sfumature semantiche o del tutto privi di significato. Per progettare l’evento, i tre artisti e amici si erano incontrati pochi mesi prima, durante l’estate, nella dacia finlandese di Matjušin, in quello che si erano spinti a definire il 'Primo congresso panrusso dei rapsodi del futuro'.

Fu un vero e proprio esperimento di arte totale- Nel 2013 portato in Francia dalla Fondazione Vuitton

Il risultato fu un vero e proprio esperimento di opera d’arte totale che però, dopo le prime due rappresentazioni, intervallate dalla messa in scena della tragedia 'Vladimir Majakovskij' di Majakovskij, non sarà più ripreso, se non esattamente un secolo dopo, nel 2013 dal Teatro Stas Namin di Mosca, nello straordinario allestimento ripreso due anni dopo a Parigi, dalla prestigiosa Fondazione Louis Vuitton (in occasione di una straordinaria mostra dedicata a Matjušin) e ora in scena in prima nazionale al Teatro Alighieri per Ravenna Festival.

L’opera 'in 2 agimenti e 6 quadri', realizzata allora sotto l’egida dell’Unione dei Giovani di San Pietroburgo, prevede una serie di personaggi-tipo, due Forzuti futuristi, un Viaggiatore in tutti i Secoli, un Malintenzionato, un Grasso, un Nemico, un Aviatore, dei Guerrieri… (secondo i dettami futuristi, tutti maschili), che si muovono in rigide 'armature' cubiste, senza quello che tradizionalmente sarebbe definito un filo narrativo o drammaturgico.

L'abbatimento del Sole proietterà l'umanità in una oscurità dove tutto è possibile

Solo il susseguirsi di quadri e di figure che si rivolgono al pubblico, quali archetipi di un teatro del tutto nuovo, rivoluzionario, e di una inedita dimensione spazio-temporale (la 'quarta dimensione') in cui l’abbattimento del Sole, simbolo, agli occhi dei futuristi, dei valori cari alla stantia e stereotipata tradizione poetica del passato, proietta l’umanità in una oscurità in cui tutto è di nuovo possibile. 'Il mondo perirà ma noi non abbiamo / fine!', così chiudono l’opera i Forzuti futuristi.

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