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Ad Asti debutta 'La luna e i falò'

16 gennaio 2020 | 20.17
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Una rilettura a 70 anni dal suicidio dello scrittore

(Ph. G. Canitano- Bam Teatro)
(Ph. G. Canitano- Bam Teatro)

Tutto esaurito per la prima nazionale di “La luna e i falò”, adattamento del romanzo di Cesare Pavese. Una produzione Bam teatro che vede in scena Andrea Bosca che ne ha firmato l'adattamento assieme al regista Paolo Briguglia. Ambientato a ridosso della Liberazione, nelle Langhe sventrate dalla guerra appena alle spalle e dalla miseria di un territorio che prova a rimettersi sulle sue gambe, il testo - spiega Briguglia - "racconta del ritorno a casa di Anguilla, emigrato in America dove è riuscito a fare fortuna. Il suo è un viaggio a ritroso, tra i luoghi e le tracce dell’infanzia, che prova a riannodare tra memorie sbiadite ed emozioni perse, nel tentativo di riappropriarsi di una identità e sentirsi parte di una comunità originaria. Eppure, anche nella placida campagna, dove tutto sembra conservarsi e a cui il tempo sembra risparmiare intatta la bellezza delle colline e dei noccioli, come pure l’abitudine ancestrale dei falò, tutto è cambiato irrimediabilmente".

In un 2020 che marca i 70 anni dal suicidio dello scrittore, 'La Luna e i falo'' resta un testo - aggiunge - che "raccoglie lo smarrimento misto a malessere comune all’uomo contemporaneo, un romanzo denso, una materia poderosa raccolta in 32 capitoli che ne fanno un’opera di grande valore, non solo letterario". "C’è tanto del nostro essere giovani uomini in questo adattamento per il teatro che firmo insieme ad Andrea Bosca: l’inquietudine, l’essersi allontanati dai luoghi di origine, il modo difficile di gestire la maturità e di sentirsi a casa da qualche parte".

"Ho ritenuto opportuno raccontare il qui e ora della voce narrante, trasformando il palcoscenico nella piazza del paese su cui Anguilla - che “nessuno conosce e nessuno più riconosce” - fa il suo arrivo. Il pubblico diviene l’interlocutore curioso a cui restituire la memoria del proprio vissuto e quella di quei luoghi nei tempi della sua assenza. Emerge lo strato profondo che un autore immensamente grande come Cesare Pavese ha voluto rappresentare: il senso della vita, l’andarsene, il tornare, l’essere straniero, il bisogno di una identità radicata che - conclude - si rifletta nelle persone, nei luoghi che ci hanno visto diventare uomini”.

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