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Jobs Act: Adapt, su apprendistato riforma senza progetto

20 luglio 2015 | 12.28
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Il giuslavorista Michele Tiraboschi - (foto Labitalia)
Il giuslavorista Michele Tiraboschi - (foto Labitalia)

Il Jobs Act non fa bene all'apprendistato, "strumento prezioso tanto per l’occupazione di buona qualità quanto per la produttività del lavoro e la sfida delle competenze e dei mestieri", ma che dopo "il restyling operato dal Jobs Act è ancora una semplice tipologia contrattuale novecentesca, costruita attorno al risparmio economico/contributivo (e quindi oggi spiazzata dall’esonero contributivo della legge di stabilità) e alla funzione sociale di contrasto alla disoccupazione giovanile". E' quanto sottolineano Emmanuele Massagli e Michele Tiraboschi, rispettivamente presidente e coordinatore del comitato scientifico di Adapt, associazione di studi e ricerche, fondata da Marco Biagi nel 2000.

Tiraboschi e Massagli dicono che "con l’apprendistato all’italiana e la recente riforma del suo quadro regolatorio del decreto legislativo 81/15, abbiamo ben poco da celebrare". Da 15 anni il monitoraggio dell’Isfol, spiegano gli esperti, "indica potenzialità e (attuali) limiti dell’apprendistato in Italia".

"Eppure -ammettono - il legislatore si ostina a non trarre nessuna lezione dalla miniera di informazioni circa le reali criticità di questo strumento così prezioso tanto per l’occupazione di buona qualità quanto per la produttività del lavoro e la sfida delle competenze e dei mestieri connessa alla grande trasformazione in atto nel mondo del lavoro". Il decreto 81, ricordano Massagli e Tiraboschi, è stato emanato prima della presentazione del XV Rapporto Isfol sull’apprendistato. E questo è stato negativo, avvertono, "in termini di mancata analisi e valutazione consegnandoci, di conseguenza, l’ennesima riforma senza progetto".

"L’impressione - dicono - è che il legislatore non solo non abbia letto le bozze del Rapporto Isfol, ma neppure conosca cosa sia l’apprendistato e cioè non solo una tipologia contrattuale come tante altre, quanto piuttosto un pezzo strategico di un moderno sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro incentrato sulla analisi dei fabbisogni professionali e sull’investimento in competenze e abilità professionali come testimoniano le migliori esperienze europee e internazionali raccolte dai ricercatori di Adapt".

"Non basta, infatti, richiamare ritualmente il sistema duale tedesco -osservano Massagli e Tiraboschi- per replicare anche nel nostro Paese un modello di apprendistato incentrato sull'alternanza e su una nuova cultura di impresa. Come bene indicano le linee di indirizzo europee, l’apprendistato ha bisogno di un quadro normativo e istituzionale stabile e non di continui interventi sulla cornice legale che paralizzano l’azione degli operatori economici e degli attori del sistema di relazioni industriali chiamati a trasporre le regole generali nella contrattazione collettiva di settore".

"Centrale, per cogliere la grande trasformazione del lavoro, era in effetti non solo la razionalizzazione delle tipologie contrattuali e l’avvio del nuovo contratto a tutele crescenti, ma anche, e prima ancora, la riscrittura della stessa nozione di impresa", spiegano gli studiosi.

"Perché la modernizzazione del mercato del lavoro -aggiungono Tiraboschi e Massagli- e il superamento del Novecento ideologico passa anche da un ambiente culturalmente favorevole alla libertà di iniziativa economica: dalla condivisione del valore della impresa che, ancora oggi, appare invece circondata da sospetti e resistenze che ne fanno il luogo inesorabile dello sfruttamento dell’uomo sui propri simili".

"La prima norma da riscrivere, come avevamo proposto nella bozza dai codice semplificato del lavoro con Pietro Ichino, era dunque quella di cosa è oggi una impresa ben oltre l’attuale definizione del nostro Codice civile quale freddo luogo dello scambio di lavoro contro salario", avvertono.

"I fallimenti nel nostro Paese dell’alternanza scuola-lavoro e dell’apprendistato scolastico - sottolineano - e la radicata diffidenza verso i percorsi formativi tecnici e professionali si spiegano anche con il disvalore che la nostra società ha per lungo tempo assegnato all'impresa, con il conseguente pregiudizio che chi studia e si forma non può lavorare e viceversa". Cosa che non è mai stata vera, concludono Tiraboschi e Massagli: "Persone che attraverso una più stretta collaborazione tra scuola e impresa hanno imparato a fare e non solo a imparare come in realtà ama dire il ministro Poletti senza però che a queste importanti affermazioni seguano reali cambiamenti normativi e prima ancora culturali e progettuali".

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