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Afghanistan: a militari Usa ordine di ignorare pedofilia ufficiali afghani

21 settembre 2015 | 14.40
LETTURA: 7 minuti

Lo rivela il New York Times: per il Pentagono non bisogna interferire con la cultura locale

Un uomo delle forze di sicurezza afghane di guardia a Paghaman, nei pressi di Kabul (Foto Afp)
Un uomo delle forze di sicurezza afghane di guardia a Paghaman, nei pressi di Kabul (Foto Afp)

Si solleva il velo su una pagina oscura della guerra in Afghanistan. Ai militari statunitensi veniva sistematicamente ordinato di ignorare i ripetuti casi di pedofilia dei quali sono responsabili gli ufficiali della polizia e dell'esercito afghano loro alleati. Le direttive dei comandi militari Usa erano di non interferire con quello che viene considerato un aspetto, seppure odioso, della cultura locale e di voltarsi dall'altra parte ogni volta che si assiste a casi di "bacha bazi", letteralmente "giocare con i bambini".

L'ordine valeva anche quando gli ufficiali afghani trascinavano i loro piccoli schiavi sessuali all'interno della basi che condividevano con gli americani. A raccontare quella che potrebbe rivelarsi come una delle pagine più controverse della lunga presenza militare americana in Afghanistan è il New York Times, che ha intervistato alcuni dei militari Usa che hanno disobbedito agli ordini, intervenendo per fermare gli abusi e in alcuni casi hanno subito provvedimenti disciplinari o sono stati costretti a lasciare l'esercito.

La politica del voltarsi dall'altra parte era diventata una prassi consolidata nel programma di reclutamento ed addestramento di forze locali afghane da impiegare nella guerra contro i talebani. Una pratica però controproducente, perché i responsabili degli atti di pedofilia, armati dagli Stati Uniti e posti a comando dei villaggi, finivano per alienarsi le simpatie della popolazione locale più di quanto avessero fatto gli stessi talebani.

In alcuni casi chi ha disobbedito agli ordini è stato punito o ha avuto la carriera rovinata

"La ragione per cui eravamo lì era che avevamo sentito le cose terribili che i talebani facevano alla gente e il modo in cui calpestavano i diritti umani", ricorda Dan Quinn, un ex comandante delle Forze speciali Usa nella provincia di Kunduz, che quattro anni fa non ce la fece più a far finta di nulla e picchiò un comandante afghano, Abdul Rahman. L'uomo, poi ucciso due anni dopo in un'imboscata dei talebani, teneva un ragazzino incatenato al letto del suo alloggio come schiavo sessuale. A denunciare l'episodio era stata la stessa madre del bambino.

"Mettevamo al potere gente che faceva cose peggiori di quelle fatte dai talebani. Era questo che mi dicevano gli anziani del villaggio", aggiunge Quinn, che dopo aver alzato le mani contro l'ufficiale afghano venne sollevato dal comando e ritirato dall'Afghanistan. Successivamente, Quinn lasciò l'esercito.Episodi come questo stanno sempre più venendo alla luce pubblicamente, specialmente nei casi in cui è emerso che i militari Usa sono stati puniti per aver disobbedito ad ordini che consideravano moralmente sbagliati.

Come è avvenuto per Quinn e come sta avvenendo per il sergente Charles Martland, che insieme a Quinn partecipò alla 'punizione' dell'ufficiale pedofilo afgano. L'esercito sta ancora tentando di fargli abbandonare la divisa, ma il suo caso è stato preso a cuore da Duncan Hunter, un deputato repubblicano della California, che nei giorni scorsi ha scritto all'Ispettorato generale del Pentagono per avere chiarimenti: "l'esercito sostiene che Martland e gli altri si sarebbero dovuti voltare dall'altra parte", afferma Hunter.

Il comando Usa, sono casi che riguardano la giustizia afghana

Il New York Times ha interpellato il colonnello Brian Tribus, portavoce del comando Usa in Afghanistan. "Generalmente, le accuse di abusi sessuali su minori da parte del personale dell'esercito o della polizia afghani riguarderebbero la giustizia afghana. Per il personale militare Usa non ci sarebbe nessun obbligo di denunciarli", è stata la sua risposta. Un'eccezione, ha concesso il colonnello Tribus, potrebbe essere fatta nel caso in cui lo stupro venisse usato come un'arma di guerra.

La politica americana di non intervento mira a mantenere buoni rapporti con l'esercito e la polizia afghani che sono stati armati e addestrati dagli Usa e dagli alleati della Nato per combattere i talebani. Questo atteggiamento riflette anche la riluttanza americana ad imporre i propri valori morali in un paese dove la pedofilia è una pratica comune, soprattutto tra gli uomini che ricoprono posizioni di potere, per i quali circondarsi di giovani adolescenti è considerato una sorta di status symbol. Eppure, questa stessa politica in alcuni casi ha contribuito ad ampliare il solco di diffidenza con gli abitanti dei villaggi, in particolare di quelli scelti come terreno di caccia dai comandanti afghani.

In almeno un caso, la politica del chiudere gli occhi di fronte ai diffusi episodi di pedofilia tra gli alleati afghani potrebbe aver prodotto direttamente delle vittime Usa. Ne è convinto Gregory Buckley senior, padre del caporale dei Marines Gregory Buckley junior, che ha avviato un'azione legale per chiedere al Pentagono di fare chiarezza sulla morte del figlio. Il caporale Buckley ed altri due marines vennero uccisi nel 2012 in una base militare nel sud dell'Afghanistan da un ragazzino afghano che faceva parte di un gruppo di adolescenti che vivevano all'interno della base insieme ad un comandante della polizia afghana, Sarwar Jan.

Jan aveva una pessima reputazione. Nel 2010 due ufficiali dei Marines erano riusciti ad ottenere il suo arresto da parte della autorità afghane. le accuse contro di lui andavano dalla corruzione alla pedofilia. Due anni dopo, Jar era nuovamente al comando di un'latra unità di polizia che operava nella provincia dell'Helmand dalla Base avanzata Delhi, la stessa del caporale Buckley. Quando Jar si trasferì all'interno della base, portò con sé un entourage di ragazzini afghani, ufficialmente da impiegare come domestici, ma in realtà come schiavi sessuali. Il padre del caporale Buckley ricorda ancora quanto gli raccontava il figlio al telefono: " La notte li sentiamo gridare, ma non ci è permesso di fare nulla".

La cosa non passò inosservata. Lo stesso caporale Buckley ne parlò al telefono con il padre, mentre i due ufficiali dei Marines che nel 2010 erano riusciti a far arrestare Jar, venuti a sapere della ricomparsa dell'ufficiale, informarono immediatamente i comandanti della base Delhi della pericolosità dell'individuo. A quanto pare, il loro allarme rimase inascoltato. Dopo due settimane, infatti, un ragazzino al seguito di Jar, un 17enne, imbracciò un fucile ed uccise il caporale Buckley ed altri due marines. Da allora il padre del caporale Buckley è tormentato dal dubbio che il figlio sia stato ucciso a causa degli abusi sessuali compiuti da Jar: "Dal punto di vista di quei ragazzini, i marines lasciano che queste cose accadano e quindi sono anche loro colpevoli".

Per una tragica ironia della sorte, l'unico ufficiale Usa che venne punito a seguito di quell'episodio fu il maggiore Jason Brezler, lo stesso che aveva fatto arrestare Jar nel 2010 e aveva poi allertato i comandanti della base Delhi sulla pericolosità del loro 'alleato' afghano. Brezler venne infatti accusato di aver rivelato informazioni riservate sul conto di Jar. Il Corpo dei Marines ha ora avviato un procedimento per cancellare quel provvedimento disciplinare. Quanto a Jar, sembra che abbia fatto carriera e ricopra ora una nuova posizione di comando nella stessa provincia dell'Helmand.

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