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Francia: addestrati e indottrinati, spettro foreign fighters su tutta l'Ue

08 gennaio 2015 | 13.42
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Francia: addestrati e indottrinati, spettro foreign fighters su tutta l'Ue

Quello dei 'foreign fighters' è uno spettro che si aggira per tutta l'Europa, come dimostra l'attacco di ieri contro la sede di 'Charlie Hebdo', eseguito da due fratelli franco-algerini reduci dal jihad in Siria. Il fenomeno riguarda cittadini con passaporti europei che ingrossano le file delle milizie dello Stato islamico (Is) e che rappresentano una grave minaccia per i paesi occidentali in cui ritornano, addestrati e indottrinati, dopo aver combattuto in Siria e in Iraq.

Lo scorso settembre, il coordinatore europeo contro il terrorismo Guilles De Kerchove parlava di "più di tremila europei che si sono uniti ai jihadisti dell'Is in Iraq e Siria". Poco prima, il Financial Times, citando fonti diplomatiche europee, pubblicava un dossier secondo il quale i servizi di intelligence occidentali avrebbero consegnato alle autorità turche una lista di cinquemila persone intenzionate a entrare in Siria attraverso il confine con la Turchia.

Si tratta insomma di un esercito in continua crescita, le cui reclute arrivano soprattutto da Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Finlandia, Norvegia, Irlanda e Danimarca. Per le intelligence occidentali è sempre più difficile riuscire a individuarli, visto che il loro avvicinamento al jihad non avviene, come accadeva in passato, attraverso la frequentazione di moschee radicali, poste ormai sotto lo stretto controllo dei servizi di sicurezza.

Reclutati sul Web, in carcere o in palestra, sulla spinta della rabbia sociale

Il reclutamento avviene o in maniera autonoma tramite Internet, oppure nelle carceri o tramite canali più sfuggenti come le palestre e altri luoghi di ritrovo al di sopra di ogni sospetto. In questi ambienti si reclutano giovani di origine araba ma non solo, usando la leva della rabbia sociale e della difficile integrazione, molto più spesso che quelle della religione e della solidarietà con i mujaheddin iracheni, siriani o palestinesi.

L'ingresso in Siria avviene in genere attraverso la Turchia, a lungo accusata dall'Europa di connivenza con i gruppi jihadisti. Più di recente Ankara ha rafforzato la sua collaborazione con i paesi occidentali, alle cui intelligence ha consegnato una lista nera di migliaia di persone intenzionate a viaggiare verso la Siria e che a metà dello scorso anno aveva già espulso almeno 500 europei bloccati sul confine.

Ma il controllo completo della lunga frontiera tra Turchia e Siria è quasi impossibile. In tanti riescono a entrare nel paese arabo e, in alcuni casi, a proseguire verso il vicino Iraq. Qui vengono addestrati all'uso delle armi e indottrinati. Vengono promesse loro una remunerazione economica e una sposa 'a tempo', scelta tra le volontarie di molti paesi arabi o tra le prigioniere, spesso yazide, curde o appartenenti ad altre minoranze.

Almeno 48 volontari partiti dall'Italia per il jihad

Un fenomeno a cui non è immune neanche l'Italia, come ha spiegato l'esperto di terrorismo islamico Lorenzo Vidino nell'ebook 'Il jihadismo autoctono in Italia: nascita, sviluppo e dinamiche di radicalizzazione'. Anche nel nostro paese, i jihadisti autoctoni hanno "scarsi legami con le grosse moschee. Non hanno, perlomeno all'inizio delle loro attività, alcuna connessione con gruppi jihadisti strutturati e Internet riveste un ruolo cruciale in tutte le loro attività, dalla radicalizzazione alla fase operativa".

La scorsa estate il ministro degli Interni Angelino Alfano parlava di "quarantotto persone " partite dall'Italia per l'Iraq e la Siria, "solo due delle quali hanno nazionalità italiana". Secondo il libro di Vidino, gran parte di loro viveva nel Nord e in particolare in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna, ma anche in Toscana e in Campania. Nell'e-book si raccontano alcuni casi emblematici di giovani jihadisti italiani, come Anas al-Abboubi.

Arrivato in Italia dal Marocco a sette anni, Anas viveva nel bresciano e faceva il rapper. Trascorreva molte ore su Internet e, entrato in contatto con la rete Sharia4Belgium, decise di creare l'omologa italiana Sharia4Italy. Nel 2012 finì nel mirino della polizia quando chiese informazioni in questura su come organizzare una manifestazione contro un film 'blasfemo', annunciando di voler bruciare bandiere di Israele e scandire slogan contro Barack Obama.

Vidino, in Italia fenomeno su scala ridotta ma con cui bisogna familiarizzare

Scoperto a usare Google Maps per cercare obiettivi da colpire in Italia, tra i quali una caserma a Brescia, fu messo brevemente agli arresti e, una volta uscito dal carcere, entrò in contatto con una rete di musulmani slavi che lo aiutò a entrare in Siria. Da lì cominciò a riempire il suo profilo Facebook con messaggi a favore del jihad e contro l'Italia, prima che, lo scorso gennaio, si perdessero le sue tracce.

E' un caso emblematico di un fenomeno che certo in Italia è al momento su scala ridotta rispetto ad altri paesi europei e "riguarda solo una frazione statisticamente insignificante della popolazione di fede musulmana", ma con il quale, conclude Vidino nel suo libro, "è fondamentale che gli apparati di sicurezza e dell'intelligence, il mondo politico e il grande pubblico familiarizzino".

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