Per Mazen Cherif, l'obiettivo dei terroristi era quello di uccidere turisti e colpire il simbolo della storia e della civiltà tunisina
L'attentato di ieri al Museo del Bardo a Tunisi, che ha causato decine di morti e feriti tra turisti stranieri e cittadini tunisini, è "un atto dimostrativo di alcuni seguaci dell'organizzazione dello Stato islamico (Is) in Tunisia per colpire il turismo e un simbolo della civiltà". E' quanto dichiara ad Aki-Adnkronos International Mazen Cherif, esperto di sicurezza del Centro tunisino per gli studi di sicurezza globale, secondo cui "l'obiettivo principale degli assalitori era quello di uccidere i turisti stranieri e di dichiarare una vera e propria guerra".
Il museo è il simbolo della "storia e della civiltà della Tunisia e le vittime sono gli amanti di questa civiltà, che i terroristi hanno cercato di sopprimere", aggiunge Cherif, il quale esclude che nelle intenzioni dei terroristi vi fosse un attacco al parlamento, la cui sede è limitrofa al museo. "I terroristi miravano al turismo in Tunisia", sottolinea.
Secondo l'esperto, i due giovani attentatori "non erano particolarmente esperti, altrimenti non avrebbero sparato indiscriminatamente su turisti e uomini della sicurezza. Se fossero stati addestrati meglio - precisa - si sarebbero fatti esplodere in mezzo ai turisti".
Quanto alle rivendicazioni più o meno attendibili giunte fino ad ora, tra chi propende per l'Is e chi per la brigata Oqba ibn Nafey vicina ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), Cherif sottolinea che "non fa differenza se si tratta dell'una o dell'altra organizzazione, in quanto tutti questi gruppi scaturiscono da un'unica ideologia, nonostante le differenti denominazioni, e questa ideologia ha come obiettivo distruggere la cultura islamica e umana".
Allo stesso tempo, l'esperto mette in guardia dal pericolo rappresentato dalle reti del terrorismo e del crimine organizzato in Tunisia, paese che "manca di una strategia antiterrorismo, poiché in passato non è mai stata in guerra contro il terrorismo. Le operazioni di sicurezza preventive - conclude - non bastano più quando il terrorismo si trasferisce dalle montagne alle città".