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Mostre: al Maxxi 'Istanbul - Passione, gioia, furore' fino ad aprile

10 dicembre 2015 | 18.01
LETTURA: 6 minuti

Un'immagine di 'Carpetland' di Halil Altindere
Un'immagine di 'Carpetland' di Halil Altindere

Le trasformazioni sociali, la tensione politica, i conflitti e le nuove dinamiche comunitarie l’hanno resa il simbolo di un cambiamento globale: è Istanbul, cui il MAXXI dall’11 dicembre 2015 al 30 aprile 2016 dedica "Istanbul. Passione, gioia, furore", una mostra a cura di Hou Hanru, Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli.

La mostra è la seconda tappa di un progetto dedicato alle realtà culturali del Mediterraneo e al rapporto tra Medio Oriente ed Europa, cominciato nel 2014 con la mostra dedicata all’arte contemporanea iraniana e che proseguirà nel 2017 con un progetto dedicato a Beirut.

"Istanbul. Passione, gioia, furore" presenta le opere di 45 tra artisti, architetti e intellettuali in un percorso che coinvolge grandi opere, nuove produzioni artistiche, testimonianze audio e video in una molteplicità di linguaggi ed espressioni. A partire dalle riflessioni su temi chiave portati alla ribalta dalle proteste di Gezi Park del 2013, la mostra, a partire dai cambiamenti della realtà culturale, sociale e urbana di Istanbul e dal loro impatto sulle pratiche creative, affronta domande esistenziali, valide per ognuno di noi: siamo pronti per un cambiamento? È giusto combattere? E’ davvero necessario lavorare così tanto? È possibile una convivenza pacifica tra i popoli? E soprattutto possiamo ancora sperare in un domani migliore?

A tutte queste domande artisti, architetti, intellettuali hanno risposto con il loro lavoro, maturando un solido impegno critico, di cui la mostra restituisce uno spaccato, costruendo una mappatura di tutte le esperienze maturate nella città e grazie alla città: progetti artistici, architettonici, cinematografici, critici.

La mostra, risultato di una lunga ricerca ispirata dal confronto con la comunità creativa di Istanbul, esplora i cambiamenti urbani della città come condizione fondamentale delle pratiche creative. Pone particolare attenzione alle questioni della gentrificazione, alla crisi ecologica e alle iniziative di autorganizzazione, evidenzia i conflitti politici e la resistenza con opere che trattano temi legati alla giustizia, la violenza, le questioni di “genere”; ripercorre i modelli innovativi di produzione legati al consumismo e alle sfide della classe operaia, evidenzia urgenze geopolitiche come la questione delle minoranze e dei rifugiati, e infine propone nuove soluzioni, istanze gioiose e propositive, strategie di ricostruzione perché è necessario non perdere mai la speranza.

La mostra è composta di diverse sezioni. 'A Rose Garden?' è la parte della mostra che costituisce una sorta di introduzione a tutto il progetto. La rivolta di Gezi Park a Istanbul è diventata simbolo della resistenza della società civile contro la regressione della democrazia, in cui artisti e intellettuali hanno avuto un ruolo centrale. Le opere degli artisti e degli architetti di questa area raccontano le tracce e le riflessioni scaturite da quell’esperienza, come il film di animazione Rose Garden with the epilogue di Extrastruggle che ha firmato anche l’identità grafica di tutta la mostra, la performance At the Edge of All Possibles di Zeyno Pekünlü che restituisce al pubblico le emozioni delle proteste di Gezi attraverso il ricordo di quei giorni o Post Resistance la serie fotografica di Osman Bozkurt.

'Ready for a change?' si occupa della profonda trasformazione urbana di Istanbul secondo le logiche del profitto e nella esclusione dei poveri. In questa sezione artisti e architetti diventano testimoni o tentano una critica, come Serkan Taycan che con le sue fotografie racconta l’espansione dei quartieri residenziali intorno ad Istanbul, un paesaggio di cemento che incombe dalle colline, o come Halil Altindere che con il video Wonderland racconta le differenze tra comunità.

Nel tentativo di mappare il cambiamento esponenziale che ha investito la città negli ultimi anni si inserisce il progetto del gruppo di architetti Superpool Mapping Istanbul in 2015 un aggiornamento video della mappatura pubblicata nel 2009. Con il progetto 'To built or not to built' il MAXXI ha chiamato tre gruppi di architetti Pattu, So? e Architecture For All a realizzare negli spazi del museo, una serie di installazioni che indagano lo spazio pubblico di Istanbul: una riflessione sulle conseguenze della proliferazione edilizia spontanea, spesso incontrollata e aggressiva, e sulle caratteristiche formali di quegli spazi tra finito e non finito. To Build or not to build? Si interroga sulla possibile forma di rigenerazione urbana di Istanbul, a partire da quegli spazi nati dall’inserimento nel vecchio tessuto urbano di nuove strutture.

'Can we fight back?' mette a fuoco Istanbul come arena di conflitti sociali e confronti politici. Questioni come l’identità culturale, i diritti civili, la libertà di espressione, la fede religiosa sono il cuore della vita sociale, e le pratiche creative sono profondamente legate ad esse. In questa parte della mostra trovano posto tra gli altri i lavori di Sarkis artista che ha rappresentato il padiglione turco all’ultima Biennale d’arte a Venezia, o il lavoro delicatamente femminista e impegnato di Güneş Terkol che realizza arazzi dal tema politico con le comunità femminili.

'Should we work hard?' si occupa invece del tentativo della Turchia di essere integrata all’interno del sistema economico mondiale che ha portato alla incontrollata espansione economica della città da sempre legata alla coesistenza di diversi sistemi economici. La nuova ideologia liberista ha incrinato vecchi equilibri, le classi lavoratrici hanno perso i loro diritti, e la necessità di una alternativa è diventata tema centrale della riflessione artistica e architettonica. Dobbiamo davvero lavorare così tanto? È quello che si chiedono Ali Kazma con una serie di video dedicati a lavori molto diversi come quello del calligrafo e del macellaio, o Burak Delier che in un video racconta il tentativo delle grandi aziende, di costruire “comunità” attraverso le attività ricreative.

'Home for all?' parla poi della Istanbul città cosmopolita, multietnica e multiculturale, nonostante sia stata anche teatro di oppressione delle minoranze. I rifugiati che negli ultimi tempi si stanno riversando nel territorio turco hanno un inevitabile impatto anche sulla città: sarà un ulteriore peso oppure una nuova opportunità? In questo contesto tra gli altri i lavori di Hera Büyüktaşçıyan che presenta lavori sulla memoria multi-etnica, o il film di Cynthia Madansky & Angelika Brudniak sugli otto confini della Turchia, e i ritratti di profughi recentemente trasferiti in città di Mario Rizzi e Cengiz Tekin.

'Tomorrow, really?' parla infine di un futuro che sembra decisamente precario, tra crisi economica, democratica e le conseguenze della guerra. Ma le opere raccolte in questa sezione rivelano l’esistenza di un laboratorio di idee e progetti teso alla costruzione di alternative possibili. Tra le altre la performance site specific del collettivo Ha Za Vu Zu, il lavoro site specific di Ceren Oykut che invade le pareti del museo con disegni in grande scala e il video di Inci Eviner Nursing Modern Fall in cui razionale e irrazionale rappresentati da architetture moderniste e rovine si scontrano, mentre un gruppo di donne cerca di affermare la propria esistenza e le proprie capacità.

Insieme alla mostra il MAXXI presenta "La storia in movimento. Racconti del cinema turco dagli anni Sessanta ad oggi" a cura di Italo Spinelli, due appuntamenti, il 30 e il 31 gennaio 2016, che attraverso film, cortometraggi e documentari ripercorrono la storia sociale, politica e culturale, e la continua trasformazione della Turchia contemporanea.

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