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Farmaci: ictus, a Sud pazienti penalizzati in accesso a nuovi anticoagulanti

28 luglio 2016 | 18.43
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Scarsa percezione della relazione tra fibrillazione atriale e ictus, anche fra i medici. E soprattutto una forte diseguaglianza nell’accesso alle terapie che possono prevenire l'ictus tra Nord e Sud Italia, con un sottoutilizzo dei nuovi farmaci anticoagulanti più sicuri e maneggevoli, e un mancato risparmio di 230 milioni di euro l’anno per il Ssn. Sono alcuni degli aspetti che emergono da un documento frutto del dibattito tra 16 esperti tra le più importanti società scientifiche, associazioni pazienti, enti regionali, esperti del settore e farmacoeconomisti, realizzato con il coordinamento di Francesco Perticone, presidente della Simi (Società italiana di medicina interna), grazie al contributo incondizionato di Daiichi Sankyo Europa.

Nel nostro Paese, dei 200 mila casi di ictus stimati ogni anno, circa 36 mila sarebbero imputabili alla fibrillazione atriale (Fa), e si stima che nel corso della vita circa 1 persona su 3 affetta da Fa vada incontro a un ictus cerebrale. Nonostante le linee guida internazionali raccomandino l’utilizzo della terapia anticoagulante come prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale, la percentuale dei soggetti a rischio a cui viene prescritta è solo del 55%, ancora meno fra gli 'over 75'.

La gestione di questa patologia assume grande rilevanza soprattutto nel contesto meridionale, dove si registra un forte trend di crescita dell’indice di vecchiaia (+ del 30%, rispetto al 5,2% del Nord-Ovest, al 7% del Centro e -1% del Nord-Est), e dove i piani di spending review inducono le autorità sanitarie a tagli sulla spesa corrente che "quasi sempre penalizzano l’impiego dei nuovi farmaci, senza considerare il risparmio effettivo legato al loro impiego nel medio-lungo termine", si legge in una nota.

La disponibilità degli anticoagulanti orali diretti (Doac), più maneggevoli e sicuri rispetto all’attuale profilassi terapeutica con gli antagonisti della vitamina K come il warfarin, impatta significativamente sulla qualità di vita dei pazienti, e fornisce una risposta più efficace per la prevenzione dell’ictus, quantificabile in circa 11.000 casi evitabili all’anno, che corrisponderebbero a un risparmio per il Ssn di circa 230 milioni di euro l’anno. Se infatti hanno costi iniziali più elevati (circa 66 euro mensili contro i poco più di 1 del warfarin), il loro utilizzo eviterebbe i costi diretti di ospedalizzazioni e cure a seguito di ictus acuti, e quelli indiretti dei numerosi monitoraggi e follow-up, richiesti dall’attuale standard terapeutico.

La prescrizione dei nuovi anticoagulanti stenta però a decollare, per diversi ordini di ragioni che spaziano dalla mancata informazione ed educazione che tocca persino la classe medica, a meccanismi di natura economica e normativa. Nel meridione sono circa 170 mila i pazienti ad alto rischio che non ricevono la prescrizione di una cura adeguata, pari a un caso su due. Al Nord e al Centro Italia, invece, i malati ricevono la terapia più adatta nel 60% dei casi e la maggioranza la segue per il tempo necessario e senza fare errori: l’aderenza alle cure arriva al 78% al Nord e al Centro, mentre si ferma al 60% al Sud dove i pazienti, rispetto al resto d’Italia, ricevono meno anticoagulanti orali e più antipiastrinici (fino a un terzo dei casi), che risultano assolutamente inefficaci a prevenire le complicanze di questa aritmia.

Il documento prodotto dal tavolo interdisciplinare propone alcune azioni specifiche per migliorare la gestione del paziente con Fa, da attuare soprattutto nelle regioni meridionali. "La prima necessità è quella di garantire a tutti i pazienti italiani quell’uguaglianza nell’accesso alle cure che oggi di fatto ancora non c’è. Ci siamo riuniti per dare il nostro contributo a questo obiettivo ambizioso ma possibile, e auspico che il nostro tavolo multidisciplinare resti attivo fino al raggiungimento di una piena uniformità, sia tra nord e sud, che all’interno delle singole regioni, dove le indicazioni terapeutiche spesso sono difformi nelle varie Asl e distretti", ha spiegato Perticone, ordinario di Medicina interna all’Università della Magna Grecia di Catanzaro.

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