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Pena di morte: Amnesty, nel 2014 allarmante aumento delle condanne, +28%

01 aprile 2015 | 09.46
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Nel 2014 aumentati i Paesi che hanno usato la pena capitale per contrastare reali o presunte minacce alla sicurezza collegate a terrorismo, criminalità o instabilità interna. Decapitazione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione i metodi d'esecuzione impiegati. E la Cina è in testa. Salil Shetty: "È vergognoso che così tanti Stati del mondo giochino con la vita delle persone"

(oto Infophoto)
(oto Infophoto)

Nel 2014 si registra un allarmante aumento del numero dei Paesi che hanno usato la pena di morte per contrastare reali o presunte minacce alla sicurezza collegate al terrorismo, alla criminalità o all'instabilità interna. E' quanto emerge dal rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo. Si è avuto un forte aumento delle condanne a morte, almeno 2.466 (il 28 per cento in più rispetto al 2013), soprattutto a causa di Egitto e Nigeria. Le esecuzioni registrate sono state 607, il 22 per cento in meno del 2013 (con l'esclusione della Cina, che da sola esegue più condanne a morte che il resto del mondo). Le esecuzioni hanno avuto luogo in 22 paesi, lo stesso numero del 2013. Il numero delle condanne a morte registrate nel 2014 supera di quasi 500 quello del 2013, soprattutto a causa di Egitto e Nigeria, che hanno emesso condanne di massa nel contesto del conflitto interno e dell'instabilità politica che hanno caratterizzato i due paesi. Decapitazione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione sono stati i metodi d'esecuzione impiegati nel 2014. Esecuzioni pubbliche hanno avuto luogo in Arabia Saudita e Iran.

"I governi che usano la pena di morte per contrastare la criminalità ingannano sé stessi. Non c'è prova che la minaccia di un'esecuzione costituisca un deterrente più efficace rispetto a qualsiasi altra sanzione" ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. "Nel 2014 la lugubre tendenza dei governi a usare la pena di morte nel futile tentativo di contrastare minacce reali o immaginarie alla sicurezza dello stato e alla salute pubblica è stata evidente. È davvero vergognoso che così tanti stati del mondo giochino con la vita delle persone, eseguendo condanne a morte per 'terrorismo' o per venire a capo dell'instabilità interna, sulla base della falsa teoria della deterrenza" ha aggiunto Shetty. Nell'analisi sull'uso della pena di morte nel 2014, si trovano però anche buone notizie: il numero delle esecuzioni registrate è stato inferiore a quello del 2013 e diversi paesi hanno intrapreso passi avanti verso l'abolizione della pena capitale.

Oltre alla Cina, della lista dei cinque paesi principali esecutori di condanne a morte, fanno poi parte l'Iran (289 esecuzioni rese note dalle autorità e almeno 454 non riconosciute), l'Arabia Saudita (almeno 90 esecuzioni), l'Iraq (almeno 61) e gli Stati Uniti d'America (35). Escludendo la Cina, nel 2014 sono state registrate almeno 607 esecuzioni. Rispetto alle 778 del 2013, il calo è risultato di oltre il 20 per cento. Come nel 2013, le esecuzioni hanno avuto luogo in 22 paesi. Nel 1995, 20 anni fa, i paesi che avevano eseguito condanne a morte erano stati 41, a conferma della chiara tendenza globale abolizionista, sottolinea Amnesty International. A dicembre, ricorda il Rapporto di Amnesty, la Giordania ha posto fine a una moratoria che durava da otto anni mettendo a morte 11 condannati per omicidio nel dichiarato intento di porre fine a un'ondata di criminalità. Il governo dell'Indonesia ha annunciato l'intenzione di procedere alle esecuzioni, soprattutto nei confronti di trafficanti di droga, per porre fine a una 'emergenza nazionale' relativa alla salute pubblica: intenzione portata a termine nel 2015. L'area del Pacifico ha continuato a essere l'unica zona del mondo virtualmente libera dalla pena di morte, sebbene i governi di Papua Nuova Guinea e di Kiribati abbiano preso provvedimenti per, rispettivamente, riprendere le esecuzioni o introdurre la pena di morte.

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