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Attacco a Facebook, "cambiare password non risolve"

29 settembre 2018 | 19.07
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Immagine di repertorio (Afp) - AFP
Immagine di repertorio (Afp) - AFP

"Il problema non è la password. Il problema è il sistema”. L'attacco a Facebook, la violazione di 50 milioni di account, ammessa ieri da Menlo Park, non stupisce Christopher Wylie, che il social network lo conosce bene, perché utilizzandone i dati ha costruito la piattaforma con la quale Cambridge Analytica ha influenzato le ultime presidenziali americane. Fino a che non ha detto "basta" ed è diventato uno dei più importanti whistleblower della storia, insieme ad Edward Snowden e Chelsea Manning. Ancora una volta, "cambiare la password non risolve il problema". E nemmeno specificare le condizioni d'uso, ha insistito Wylie: "Se un palazzo ha un impianto elettrico pericoloso, non puoi entrare nemmeno se all'ingresso vengono esposte le condizioni d’uso". Non venivano lette prima dello scandalo di Cambridge Analytica, difficilmente succede ora. Il problema è che "c’è in gioco la nostra sicurezza, quella di tutti noi".

Parlando dal palco del Wired Next Fest in corso a Firenze Wylie ha aggiunto: "Il problema è il modo in cui Facebook presenta i dati e li rende accessibili". Cosa che ha permesso che fossero utilizzati a fine di propaganda. Eppure, il paradosso, è che tutto era iniziato per finalità di sicurezza. 

"All'inizio il mio ruolo era quello di esplorare nuovi modi di portare online le tattiche militari, focalizzandomi su azioni antiterrorismo". Questo perché "è in rete che le persone si radicalizzano e vengono reclutate", ha sottolineato Wylie.

Si trattava, in buona sostanza, di profilare le persone e capire chi fosse a rischio di diventare un terrorista. Quando questa tecnica si sposta però alla campagna elettorale, la questione diventa problematica, secondo Wylie: "In guerra non ti preoccupi della libertà del tuo nemico, manipolarlo non è un problema. In democrazia la capacità di distinguere il vero dal falso è fondamentale per compiere scelte informate". E Steve Bannon, per anni vicepresidente di Cambridge Analytica, "cercava dei nuovi strumenti per combattere una guerra culturale". Strumenti che lo stesso Wylie ha contribuito a creare. Finché, "dopo due mesi ho detto basta". E si è rivolto all’Observer, facendo scoppiare uno dei più grandi scandali degli ultimi tempi.

Il meccanismo è lo stesso che si utilizza, ha spiegato Wylie, "quando bisogna intervenire in una zona dominata dai cartelli della droga. Si cercano persone disposte a mettere in discussione lo status quo". Se ai narcos si sostituisce la classe politica dominante, fatte le dovute proporzioni, il sistema funziona ugualmente. "Basta individuare quelli che chiamiamo overturning. Uno o due gruppi anche di poche centinaia di persone. Soggetti che è possibile incoraggiare alla paranoia, a non frenare pensieri razzisti". Pochi soggetti, ma capaci "di modificare la timeline di tutti". E bastano poche persone per cambiare le sorti di una nazione. "Se anche convinci l’1%, ma è quella quota che ti fa vincere le elezioni o un referendum con il 51%, allora hai un impatto". Bene, ma come si corre ai ripari? "Si dice spesso che la tecnologia è troppo veloce per la politica. Però noi regolamentiamo la produzione di aerei. O di centrali nucleari - conclude -. Sono questioni complicate, rispetto alle quali scriviamo delle regole per garantire la sicurezza: si può fare".

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