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Attacco hacker a Regione Lazio, parla il dipendente 'bucato' dai pirati: "Mai venderei le password"

06 agosto 2021 | 09.47
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"Non riesco ancora a capire come sia potuto succedere. E perché proprio a me" dice in un'intervista al Corriere della Sera

(Fotogramma)
(Fotogramma)

"Sono io quello che cercate, sono io la porta da cui sono entrati gli hacker della Regione Lazio. Pensavo di averla chiusa bene a chiave e invece...". Così in un'intervista al Corriere della Sera Nicola B. di 61 anni della sede di Frosinone racconta l'intrusione degli hacker del sito della Regione. "Ora mi hanno emarginato", dice.

"In queste ore ho letto davvero di tutto: hacker russi, cinesi. Boh! Ma a me finora non è venuta a interrogarmi nemmeno la polizia postale. Un tecnico del Ced lunedì è entrato, ha smontato il computer - racconta - e l'ha portato via. Da quel momento il buio. E io non riesco ancora a capire come sia potuto succedere. E perché proprio a me". Lo sa che girano le voci più assurde e inquietanti? "Eccome no, lo so bene, ogni giorno mi ronzano intorno colleghi affamati di gossip", prosegue.

"Siti porno? È pazzesco, mio figlio poi la notte dell'intrusione, tra sabato e domenica se ho capito bene, era addirittura al mare, perciò figuratevi. E poi lui non conosce le mie password. Sapete? Malgrado tutto io resto tranquillo, perché penso che la polizia postale comunque ha preso i computer e potrà vedere da sola tutti i movimenti che ho fatto. Troverà anche qualche foto, ma niente di compromettente: cene con amici - dice - immagini di mia moglie. Quante chiacchiere inutili: vendermi le password? Nemmeno per un milione di bitcoin e sì che ci sistemerei la famiglia! Ma io sono uno che non ha mai preso una multa in vita sua: ricordo che quando lavoravo ancora alla Provincia di Frosinone chiesi ai tecnici se potevano abilitarmi per leggere il sito Dagospia, perché è un sito che mi diverte molto, ma poi mi sentii quasi in colpa all'idea di navigare durante l'orario di lavoro e lasciai perdere".

Ma allora perché hanno bucato proprio lei? "Non lo so, forse perché a casa lavoro in orari strani, mi sveglio alle 3 di notte e comincio a smaltire le pratiche più diverse: bolli auto, rimborsi elettorali ai Comuni, invio email ai colleghi per anticipare il lavoro del mattino dopo. Lo smart working però è vulnerabile, la rete di casa è più fragile di quella aziendale", evidenzia.

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