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Attacco in Congo, le 120 milizie diventate micro signorie della guerra

23 febbraio 2021 | 15.05
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Giacomo Macola, docente de La Sapienza traccia una mappa dei gruppi armati del Kivu, dai Mai-Mai protetti 'dall'acqua magica', agli ex genocidi Hutu e i gruppi Tutsi sostenuti dal Ruanda. Tutti gruppi che si sono frammentati in micro signorie della guerra con propri interessi economici.

mappa proveniente dal libro di prossima pubblicazione:
mappa proveniente dal libro di prossima pubblicazione: "Una Storia Violenta. Potere e conflitti nel bacino del Congo (XVIII-XXI secolo)" edizioni Viella

Almeno 120 diverse milizie e gruppi armati si sono ormai incistati nel Kivu, dove si sono trasformati in "micro signorie della guerra" dedite allo sfruttamento delle risorse naturali, ai rapimenti, al taglieggiamento della popolazione locale. A tracciare per l'Adnkronos una mappa della galassia dei tanti gruppi armati nell'est della Repubblica Democratica del Congo è Giacomo Macola, professore associato di Storia e istituzioni dell’Africa della Sapienza, che sta per dare alle stampe il libro: "Una Storia Violenta. Potere e conflitti nel bacino del Congo (XVIII-XXI secolo)", edizioni Viella.

Nella regione orientale congolese del Kivu, dove sono stati uccisi ieri l'ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l'autista congolese Mustapha Milambo, agiscono gruppi nati durante le due guerre congolesi, che ormai hanno perso le motivazioni politiche originarie, e si sono frammentati fra loro.

Ci sono, racconta Macola, i Mai-Mai (milizie di autodifesa autoctone), gli Fdlr (Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda) degli ex autori del genocidio in Ruanda, i gruppi fomentati da Ruanda, Burundi e Uganda. Alcuni si sono formalmente integrati nell'esercito congolese, ma "di giorno fanno i militari e di notte i banditi". Molto più a nord, al confine con l'Uganda e quindi ben lontano dalla scena dell'agguato vi sono anche milizie jihadiste.

Per capire come l'area dei due Kivu, del nord e del sud, sia precipitata nell'attuale situazione di instabilità cronica, mentre il resto della Repubblica democratica del Congo "è riemerso dall'abisso", bisogna fare un passo indietro. Già prima del genocidio del Ruanda nel 1994, spiega Macola, in quest'area c'erano tensioni fra i coltivatori delle popolazioni 'autoctone' e gli allevatori di origine ruandese: i Banyamulenge (tutsi) arrivati nel 19esimo secolo, e i Banyarwanda (hutu e tutsi) portati dai colonizzatori belgi negli anni Trenta del secolo scorso. Questi due ultimi gruppi erano stati privati della cittadinanza negli anni Ottanta.

L'area del Kivu era quindi già "una polveriera", con gruppi di autodifesa locali delle due parti. L'arrivo di un milione di profughi dopo il genocidio in Ruanda "è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso". Mischiati ai veri profughi hutu, c'erano anche i responsabili del genocidio dei tutsi. "La comunità internazionale - nota il professore - non riuscì mai a distinguere fra i veri profughi e gli Interahamwe, 30mila ex soldati e miliziani che tenevano i profughi in ostaggio per riarmarsi e ripartire a riconquista del Ruanda".

Di fronte ad un Kivu sempre più "fuori controllo, con una guerra civile strisciante", e da cui partivano incursioni transfrontaliere, il nuovo uomo forte del Ruanda Paul Kagame (tutsi) invase la Repubblica democratica del Congo (allora Zaire) con il sostegno di Uganda, Burundi e Angola. Nella primavera del 1997, cade Kinshasa. Al posto del presidente Mobutu Sese Seko, s'insedia Laurent Kabila, le cui milizie Afdl erano sostenute dai ruandesi.

I ruandesi trattano però l'RD Congo come una sorta di protettorato, tanto che il capo del loro esercito, James Kabarebe, diventa capo dello stato maggiore congolese. E nel Kivu i ruandesi si muovono liberamente per eliminare gli estremisti hutu, "prendendo anche le difese dei tutsi nei conflitti interetnici". Nascono così le milizie di autodifesa degli 'autoctoni', chiamate Mai-Mai. Il nome significa acqua-acqua e si lega a credenze di acque magiche che darebbero l'invulnerabilità. La situazione dei diritti umani nei due Kivu si degrada ulteriormente, con decine di migliaia di profughi.

Quanto accade nel Kivu porta alla rottura fra Kabila e il Ruanda, con l'avvio della seconda guerra del Congo. Una guerra che questa volta vede il Congo di Kabila alleato di Angola e Zimbabwe, contro Ruanda e Uganda. Ma fra il '98 e il '99 Ruanda e Uganda cominciano a combattere fra loro, anche tramite "gruppi fantocci" nel Kivu.

"Le divisioni fra gli eserciti creano divisioni fra le milizie locali che li sostengono, in una incredibile frammentazione militare di una guerra che è sia civile che internazionale", spiega il professor Macola. "Se la prima guerra del Congo era dettata da motivi geopolitici, ovvero l'imperativa necessità di Ruanda e Uganda di sbarazzarsi dei gruppi ribelli, la seconda era motivata più semplicemente da motivi di saccheggio e rapina: una volta arrivati in Congo, gli invasori si erano resi conto che vi erano risorse economiche, minerarie non solo, da depredare".

Quando, finalmente, nel 2002 si arriva ad una pace sponsorizzata dall'Onu, gli eserciti stranieri si ritirano. Ma a differenza del resto del paese, sottolinea Macola, "nei due Kivu non cambia nulla, la fine del conflitto fra stati non fa alcuna differenza perché le milizie di origine straniera e locali si sono trasformate in mini imprese economiche, micro signorie della guerra".

"Che siano estremisti hutu o Mai-Mai, non sono più milizie di difesa, ma imprese economiche per lo sfruttamento di risorse minerarie come il coltan, il contrabbando di carbone, avorio, legname pregiato". "Il mestiere delle armi - commenta il professore - è diventato l'unica fonte di sostentamento per larga parte della popolazione giovanile", la "generazione Kalashnikov" che non è andata a scuola e ha visto "i film di Rambo e Chuck Norris".

Anche dopo la guerra, il Ruanda ha continuato a fomentare rivolte da parte di tutsi congolesi, tramite il Cndp di Laurent Nkunda e il movimento M23. Intanto sia gli ex ribelli hutu, che secondo stime del 2015 erano circa 2mila uomini, che i Mai-Mai, si sono frammentati fra loro in tante milizie. Ormai i gruppi Mai-Mai sono almeno 60.

Una parte dei gruppi si sono anche incorporati nelle forze armate dell'RD Congo. Nell'ambito degli sforzi di pacificazione, alcuni signori della guerra hanno accettato di entrare a far parte delle forze regolari delle Fardc, "ma hanno mantenuto catene di controllo parallele nei loro feudi" per il controllo delle risorse. Nell'est del Congo, anche l'esercito integrato "rimane un coacervo di bande armate", gente che "fa i soldati di giorno e i banditi di notte", spiega il professore.

C'è infine il capitolo dei jihadisti, che però riguarda un'area lontana e molto più a nord di quella dove è avvenuto l'attacco all'ambasciatore Attanasio, l'estremo nord est del Congo, nella regione dell'Ituri, al confine con l'Uganda. Il loro arrivo risale agli anni Novanta, quando le frontiere congolesi erano permeabili. In questo contesto vi erano gruppi jihadisti foraggiati dall'allora regime sudanese, come le Allied democratic forces, che usavano il nord est del Congo come retrovia per sconfinare in Uganda. Gruppi, ipotizza Macola, che ora potrebbero aver intessuto rapporti con altre realtà jihadiste africane.

(di Maria Cristina Vicario)

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