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Borsellino, Chiocci (Adnkronos): "Anche giornalisti facciano esame coscienza"

19 luglio 2022 | 20.34
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Il direttore dell'agenzia a Palermo, al convegno 'Parlate di mafia', organizzato da Fratelli d'Italia

Borsellino, Chiocci (Adnkronos):

"E' giusto che 30 anni dopo la strage di Via D'Amelio anche la categoria dei giornalisti si faccia un bell'esame di coscienza". Sono le parole del direttore dell'Adnkronos Gianmarco Chiocci, intervenuto questa sera a Palermo al convegno 'Parlate di mafia' organizzato da Fratelli d'Italia. "Questo è il trentennale non solo delle stragi ma anche di Mani pulite - dice Chiocci - E tanti giornalisti che hanno seguito Tangentopoli dopo 30 anni hanno deciso di scrivere articoli e libri e ammettere quello che diceva all'epoca Montanelli, cioè che non avevano fatto il proprio dovere fino in fondo. Che avevano abbracciato una causa, che avevano seguito l'afflato della piazza e che erano stati ostaggio delle procure". E tornando ad oggi, alla strage di Via D'Amelio, e al depistaggio sulle indagini, "la stampa è stata complice del silenzio, ha chiuso gli occhi, e li ha chiusi in modo doloso".

Chiocci cita due giornalisti, Attilio Bolzoni, ex giornalista di Repubblica e oggi a Il Domani, e Peter Gomez, che hanno ammesso di avere saputo che Vincenzo Scarantino era un falso pentito ma di non averlo scritto. Di Bolzoni, il direttore dell'Adnkronos dice che lui sostiene di avere saputo fin dall'inizio che Scarantino "che ha depistato per anni" era "un pentito falso", un 'pupo' vestito e che tranne pochissime persone, tanti giornalisti hanno pensato di non dirlo perché dire questo voleva dire andare contro la tesi della magistratura e non si poteva andare contro la tesi della magistratura in quel periodo". "Bolzoni ha detto di avere 'commesso un furto di verità su via D'Amelio', ha detto: 'Avevamo chiarissimo che era in atto un depistaggio e non ne ho scritto, perché il mio giornale era esposto su tanti fronti, io non ho avuto il coraggio di esporlo anche su questo fronte". Mentre di Gomez, direttore del Fatto quotidiano on line, dice: "Gomez nella prefazione del libro dell'avvocato di parte civile del processo depistaggio Rosalba Di Gregorio, scrive 'In quegli anni era difficile seguire le denunce sul Borsellino bis, l'avvocato Di Gregorio le affrontava a viso aperto, seminava dubbi, su tutto il processo ma poi la penna colpevolmente restava nel taschino: perché? Se solo fossi stato più coscienzioso...  avrei dovuto occuparmi di quel mestiere e invece di tutta quella storia non mi sono potuto occupare".

Poi Chiocci aggiunge: "Purtroppo anch'io ho fatto parte di questo sistema di cui parla Palamara, anche io ho avuto un vantaggio, in termini di notizie, con i rapporti diretti con i procuratori". E ribadisce: "E' giusto che 30 anni dopo che anche la categoria dei giornalisti si faccia un bell'esame di coscienza".

"L'avvocato Di Gregorio - racconta Chiocci - ha detto più volte che per i giornalisti lei era l''avvocato mafioso' quando, ad esempio, chiese la perizia psichiatrica per il falso pentito Vincenzo Scarantino. Quando Scarantino disse che lo avevano indotto a dire determinate cose, i tg parlavano di ritrattazione false. Questo va riferito anche a quello che è successo al giudice Giovanni Falcone, la stampa anche qui ha grandi responsabilità, quella stampa che ha dato spazio a movimenti politici portatori della verità antimafia, ha dato voci a personaggi improbabili, definito Falcone un arrivista, e Falcone disse: 'è possibile che per essere creduti bisogna essere ammazzati? Quando invece poi si crede ciecamente...'".

Il direttore dell'Adnkronos ha anche citato alcuni casi di cronaca giudiziaria, carabinieri, politici, finiti a processo per mafia e tutti assolti. Come il generale Mario Mori: "La narrazione di questi anni ne ha infangato la carriera e questo è accaduto altri uomini delle istituzioni. A 'Ultimo' per esempio. E poi c'è il processo trattativa tra Stato e mafia. Avete letto una narrazione diversa? No tutta uguale, e quando è crollata poche righe".

"Un altro personaggio massacrato sui giornali per 15 anni, che ha subito 25 anni di processo, 15 assoluzioni è l'ex ministro Calogero Mannino. Hanno detto di tutto su di lui, e quando provavo a raccontare un'altra storia eravamo i giornalisti che affiancavano la mafia". Cita, infine, il caso del maresciallo Carmelo Canale, "il miglior collaboratore del giudice Paolo Borsellino" o del maresciallo Antonino Lombardo "morto suicida".

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