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Borsellino quater, confermate in appello le condanne

15 novembre 2019 | 18.47
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La sentenza di secondo grado della Corte d'assise d'appello di Caltanissetta che ha ribadito quanto già deciso dai giudici di primo grado. Fiammetta Borsellino: "Dal Csm silenzio indegno". L'agenda rossa di Borsellino, un mistero che dura da 27 anni

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di Elvira Terranova

Il depistaggio sulla strage di via D'Amelio ci fu. La conferma arriva dalla sentenza di secondo grado dalla Corte d'assise d'appello di Caltanissetta che ha ribadito quanto già deciso dai giudici di primo grado. Confermate le condanne all'ergastolo dei due boss mafiosi, Vittorio Tutino e Salvatore Madonia e a dieci anni di carcere per i due falsi pentiti di mafia Francesco Andriotta e Calogero Pulci. Confermata anche la prescrizione per l'ex pentito Vincenzo Scarantino. Alla lettura del dispositivo di sentenza era presente l'intera Procura generale di Caltanissetta, guidata da Lia Sava. Presenti i sostituti Antonino Patti, Fabiola Furnari, Carlo Lenzi e Lucia Brescia. Durante la requisitoria fiume i rappresentanti dell'accusa avevano chiesto la conferma delle condanne per gli imputati. Lia Sava durante l'avvio della requisitoria aveva sottolineato che la "ricerca della verità" sulle stragi mafiose del 1992 "non si è mai fermata", nonostante siano trascorsi 27 anni. Perché gli italiani, "anche quelli nati dopo il 1992" hanno "tutto il diritto di avere risposte su quanto accadde quella domenica", del 19 luglio 1992 in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. E "lo sviluppo delle indagini sta via via delineando altre strade che, se doverosamente riscontrate, possono far individuare altri soggetti", anche esterni a Cosa nostra. Per la Pg dopo la strage di via D'Amelio prese "inizio un percorso di ricostruzione delle responsabilità di tutti coloro che ne furono autori, percorso faticosissimo, incidentato, a volte contraddittorio, che ancora non è terminato". E parlando dei congiunti di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta, disse: "Essi hanno il diritto di sapere e di comprendere fino in fondo come e perché si giunse alla stagione delle stragi, anche al fine di cercare di lenire un dolore mai sopito ma che addirittura si amplifica di fronte agli assordanti silenzi di coloro che sanno, sia all’interno di “cosa nostra” che all’interno di altri e più differenti contesti, ed ancora non hanno il coraggio e la dignità di riferire in ordine ai pezzi di verità mancanti, con ciò profanando non solo la sensibilità ma anche l’intelligenza dei familiari delle vittime delle stragi e di tutti gli italiani onesti".

I FAMILIARI - "A nome dell'intera famiglia Borsellino, anche di Agnese che non c'è più, non posso che essere contento della conferma della sentenza di appello del processo Borsellino quater che ha confermato le condanne del primo grado, ma non nascondo anche la mia amarezza". A parlare con l'Adnkronos è Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, che è anche avvocato di parte civile del processo. Trizzino ha assistito "emozionato" come ha detto lui al momento della sentenza. "Quello che rimane oggi è che abbiamo un'altra istanza di merito che ci dice che nell'ambito dei processi Borsellino uno e bis si è realizzato il più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana", dice Trizzino. "E' qualcosa che ci avvicina alla verità - dice ancora - vorrei rammentare che i figli del giudice hanno messo a verbale in primo grado che qualora venisse confermato il depistaggio è come avere ucciso il padre una seconda volta, per certi versi il depistaggio è più grave della strage medesima, perché che i mafiosi fossero nemici del giudice si sapeva che un tradimento di questo tipo potesse venire da uomini delle istituzioni francamente la famiglia non se lo aspettava. Ma ora abbiamo due sentenze di merito che dicono che c'è stata una determinazione a commettere il reato di calunnia, giacché il reato di depistaggio non era stato allora tipizzato dal legislatore, e vi rendete conto che c'è soddisfazione ma anche tanta amarezza".

FIAMMETTA BORSELLINO: "DA CSM SILENZIO INDEGNO" - Denuncia "un silenzio indegno" da parte "del Consiglio superiore della magistratura" perché "non si è saputo assumersi la responsabilità di un procedimento, ma ha fatto da scaricabarile". E' la denuncia di Fiammetta Borsellino, la figlia minore, del giudice Paolo Borsellino. "Un silenzio non degno dei ruoli di questo organismo", dice all'Adnkronos. E rivela anche di avere avuto un incontro "informale" con il vicepresidente del Csm David Ermini. "Dopo una intervista rilasciata a Fazio dice - Ermini mi ha chiamata e mi ha detto che voleva avere un incontro e voleva che restasse informale. In quella occasione cominciò a dare giustificazioni varie, tra cui che l'ex Procuratore generale della Cassazione Fuzio, che non aveva fatto l'istruttoria dopo che io, un anno prima ero stata da Fuzio. E poi lo scorso 18 luglio lo stesso Fuzio mi fece una lettera aperta vergognosa". Riccardo Fuzio, dopo aver lasciato il suo incarico perché il suo nome era comparso nelle carte dei pm che indagano su Luca Palamara, scrisse una lettera alla figlia minore del giudice. Nel documento sosteneva di non aver fatto in tempo ad aprire l'azione disciplinare contro i suoi colleghi indagati per depistaggio. "Doveva produrre atti e lavorare invece aveva altro da fare - dice oggi Fiammetta - tanto è vero che è stato coinvolto nella vicenda del Csm.". "Ermini voleva che questo nostro incontro restasse informale - dice - ma non posso perché il silenzio del Csm è stato arricchito ora da chi ha preso parte a quella anomalia...". "Lo abbiamo ben chiaro che c'è stato il depistaggio, ma è frustrante dovere constatare che tutte le anomalie che sono state portate avanti dagli uomini delle istituzioni e che sono stati funzionali al depistaggio, oggi non sono chiarite. O, comunque, sono stati avviati dei procedimenti. Auspichiamo che si possa andare più a fondo". "Alla luce di tutto questo - dice - c'è la conferma che si possa arrivare a un approfondimento" anche se continuiamo a constatare il silenzio indegno del Csm...". "Mi aspetto che ci sia un accertamento di responsabilità a più livelli, morale e giudiziaria. C'è la responsabilità disciplinare e gli accertamenti vanno fatti a più livelli". E torna a parlare di Riccardo Fuzio, ex procuratore generale della Cassazione: "Non è stato capace di avviare una istruttoria che desse impulso al Csm - conclude - . Anche Ermini mi ha detto che se avesse avuto impulso dalla Procura generale potevano fare qualcosa".

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