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Bradanini: ''Protesta donne in Iran è una tappa verso la tolleranza''

24 settembre 2022 | 18.25
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L'ex ambasciatore italiano a Teheran ritiene che le manifestazioni in corso non porteranno a un rovesciamento del regime, ma porteranno a una maggiore apertura ai vertici.

Bradanini: ''Protesta donne in Iran è una tappa verso la tolleranza''

''Non rovescerà il regime'' iraniano, questo no. Ma la protesta delle donne scese per le strade dell'Iran, per manifestare contro la morte della 22enne Mahsa Amini dopo essere stata arrestata dalla polizia morale con l'accusa di indossare male il velo islamico, potrebbe portare a ''un'apertura, una maggiore tolleranza''. Perché all'interno del Majlis, il Parlamento iraniano, ''proprio in queste ore'' si sta facendo strada l'ipotesi di ''ridurre la presenza della polizia morale per le strade e per le piazze dell'Iran''. E in questo modo ''ridurre la distanza tra la popolazione e la sua leadership''. Così l'ex ambasciatore italiano a Teheran, Alberto Bradanini, analizza con l'Adnkronos quanto sta accadendo in Iran. Dove, a fronte di migliaia di donne che protestano ''contro una disciplina sociale percepita come una repressione'' e ''discriminatoria'', il presidente Ebrahim Raisi ha organizzato una contromanifestazione a sostegno del velo. ''Pura scenografia del potere che non può dimostrare segni di debolezza'', taglia corto Bradanini, soprattutto ''davanti a eventi che possono essere destabilizzanti''. Soprattutto in un Paese, come l'Iran, che ''non è pacificato'' e quindi può essere ''esposto a reazioni inconsulte''.

Ma ''l'apparato poliziesco è molto efficace, in grado di contenere le proteste'' e ''il regime è in grado di garantire la sua salvaguardia con un controllo saldo della società, dei media, della comunicazione''. E anche perché è ''unito al suo interno dalla pressione esterna''. Per cui ''direi che è eccessivo pensare che da queste manifestazioni possa nascere un movimento politico più ampio che possa portare a un rovesciamento del regime''.

Certo, ''un profilo politico in queste manifestazioni c'è'', come c'è stato in passato per le ''proteste motivate da ragioni economiche, come quelle per l'aumento del prezzo del pane, o quelle per ragioni più strutturali, come contro la disoccupazione giovanile''. Il profilo è quello di una ''popolazione iraniana che, nella maggior parte dei casi, auspica una transizione possibilmente pacifica verso un sistema più liberale e pluralista che consenta all'Iran di passare da una situazione di contenimento dell'Occidente a uno scenario più disteso nei confronti della comunità internazionale anche rispetto alle libertà fondamentali e ai diritti umani''.

Diritti che, nel caso di Mahsa, riguardano sia quelli delle donne, sia quelli della minoranza curda. ''L'Iran, nel suo piccolo, è una realtà imperiale e non uno stato nazione - spiega Bradanini - Poco più del 50 per cento della popolazione iraniana è di etnia persiana. Il resto sono per il 20 per cento azeri di etnia turcomanna e poi ci sono i curdi che notoriamente sono discriminati non solo in Iran, ma anche in Turchia''. Lo sono ''un po' meno in Iraq, dove si sono ricavati una realtà statuale con un percorso anche militare, sono protetti dall'esercito dei Peshmerga''. Resta il fatto che i curdi siano ''un popolo che non trova una sua patria'' e che quindi rappresentino ''una realtà strutturale intrinsecamente destabilizzante'' che il regime iraniano intende reprimere. Quanto il fatto che Mahsa fosse di etnia curda ''abbia pesato in questo episodio specifico non lo sappiamo e il governo iraniano non ha alcun interesse a sollevare una reazione etnica''.

Per il diplomatico è però ''molto probabile che la polizia morale che sovrintende il rispetto delle norme di copertura del capo per le donne abbia interpretato in maniera eccessiva questa repressione, abbia superato i limiti anche perché ha avuto di fronte una donna curda e non una persiana''. Tuttavia, citando fonti ''iraniane ascoltate nelle ultime ore'', Bradanini dice di voler essere ''positivo'' e cita ''segnali incoraggianti nel governo, che avrebbe avviato una riflessione che potrebbe spingere a una maggiore tolleranza e a una lenta apertura''. Il diplomatico ha fatto riferimento in particolare a ''un dibattito in parlamento durante il quale alcuni deputati hanno proposto di ridurre la presenza nelle piazze e nelle strade della polizia morale. La norma rimarrebbe in vigore, ma la presenza fisica della polizia verrebbe ridotta''.

Si tratta quindi di un ''segnale che il paese sembra prendere coscienza, non solo tra la popolazione, ma anche ai vertici, che qualcosa deve essere fatto'' per ridurre ''la distanza tra popolo e vertici''. Perché ''l'importanza di questa norma sul velo è simbolica'' e il regime iraniano vi ''si è incollato come una questione di sostanza. Ha paura che calato il velo la società possa sfuggire di mano. Ma è una paura di tipo patologico, una nevrosi sociale diffusa ai vertici del paese'', ha affermato il diplomatico.

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