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Brusaferro: "No al riuso delle mascherine chirurgiche"

04 giugno 2020 | 09.12
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Il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) precisa: "Studio ha rilevato parti virus in mascherine fino a 7 giorni"

(Afp)
(Afp)

"Per le mascherine chirurgiche non è consigliato il riutilizzo e neppure il ricondizionamento mentre può essere preso in considerazione l’uso prolungato". Lo ha precisato Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss), in audizione alla Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, riferendo della gestione dei rifiuti legata all’emergenza Covid-19 e sottolineando che "l’ Istituto superiore di sanità ha operato ed opera per promuovere un uso appropriato delle mascherine chirurgiche è rimane disponibile a fornire il suo contributo con campagne di sensibilizzazione alla cittadinanza. Lo slogan potrebbe essere: scegliere la mascherina appropriata per l'uso più appropriato".

"Nel caso delle mascherine chirurgiche, l’orientamento è quello di considerare le attuali mascherine, prodotte con materiali diversi difficilmente sanificabili, come non lavabili e non riutilizzabili", ha ricordato, spiegando che "uno studio in laboratorio ha rilevato parti di virus nella parte interna delle mascherine dopo 7 giorni dall'inoculo". "Si tratta - ha evidenziato Brusaferro - di uno studio scientifico in ambienti protetti, non è dunque immediatamente assimilabile a situazioni normali. Costruire un setting sperimentali vuol dire tenerlo protetto da luce del sole e da altri fattori che hanno una influenza" sui risultati nella vita reale.

"In particolari situazioni - ha aggiunto Brusafetto - può essere necessario prendere in considerazione l’utilizzo prolungato delle mascherine chirurgiche per lo stesso utilizzatore, in quanto sembra mantengano una efficacia per un periodo di tempo che varia dalle 2 alle 6 ore".

"In merito alla possibilità di ricondizionare i dispositivi monouso (mascherine chirurgiche) per il loro riutilizzo, sono stati proposti alcuni sistemi di bonifica basati sull’utilizzo del calore secco - ha ricordato Brusaferro - che pur dimostrando l’efficacia nei confronti di alcuni virus e superando i test di performance (fit test e filtration test- maschere Ffr), presentano elementi di incertezza che necessitano ulteriori approfondimenti". Mentre sulla possibilità del lavaggio e della sanificazione da parte dell’utilizzatore "le procedure applicate non standardizzate non consentirebbero di verificarne il mantenimento delle caratteristiche di sicurezza e di performance iniziali con possibili rischi per l’utilizzatore stesso", ha chiarito il presidente dell'Iss.

"Le maschere di Tipo I, come specificato nella stessa norma, dovrebbero essere utilizzate solo da pazienti e da popolazione per ridurre il rischio di diffusione dell’infezione in caso di epidemia o pandemia e non sono destinate ad essere utilizzate da operatori sanitari tantomeno in sala operatoria o in strutture ospedaliere con requisiti assimilabili - ha ribadito Brusaferro - Le maschere di Tipo II, hanno lo scopo di evitare che chi le indossa contamini l’ambiente, in quanto limitano la trasmissione di agenti infettivi con la duplice funzione di ridurre il passaggio di saliva e particelle respiratorie verso gli altri e, al contempo, proteggere da eventuali schizzi di sangue e altri materiali potenzialmente infetti, la pelle, la bocca o il naso di chi le indossa. Come specifica la stessa norma UNI EN 14683, è un “dispositivo medico che copre la bocca e il naso fornendo una barriera per ridurre al minimo la trasmissione diretta di agenti infettivi tra il personale e il paziente”.

"I materiali più utilizzati per la produzione delle mascherine attualmente sono tessuti non-tessuti (Tnt) fabbricati per coesionatura di filamenti continui di Polipropilene o Poliesteri. I risultati migliori si ottengono associando più strati sovrapposti di Tnt per sfruttare le prerogative filtranti dei filamenti più fini disposti nello strato interno, associate alle proprietà strutturali dei filamenti degli strati esterni del sandwich - ha aggiunto il presidente dell'Iss - Dal punto di vista strutturale, possono essere o meno idrorepellenti e non perfettamente aderenti al viso di chi le indossa. Sono ideate per essere monouso e si deteriorano con l’uso prolungato, se esposte all’umidità o ai sistemi standard di disinfezione (ad esempio chimici, calore, radiazioni) e inoltre, se visibilmente sporche, possono rendere difficoltoso il respiro. Pertanto, ad oggi, sulla base dei diversi materiali impiegati per lo strato filtrante, per gli elementi strutturali e per gli accessori, non è consigliato né il riutilizzo e neppure il ricondizionamento (decontaminazione per il riutilizzo) a causa della rapida degradazione già in fase d’impiego, mentre il riciclo risulta estremamente difficoltoso".

"Il Robert Koch Institut della Germania non consiglia il riutilizzo delle mascherine chirurgiche monouso, poiché il riutilizzo richiede un ricondizionamento e una manipolazione in condizioni di sicurezza che se non correttamente eseguiti potrebbero aumentare il rischio di infezione - ha concluso Brusaferro - La stessa norma Uni 14683:2019 non fa alcun riferimento alla riutilizzabilità delle mascherine chirurgiche dopo l’uso né ad eventuali pratiche di pulizia-disinfezione, piuttosto, sottolinea che la mascherina chirurgica può inumidirsi facilmente con conseguente diminuzione dell’efficacia filtrante".

SMALTIMENTO - "Ad oggi i dispositivi costituiti di materiali diversi, in base a quanto riportato nel Rapporto Iss Covid-19 numero 26 del 2020 (Indicazioni ad interim su gestione e smaltimento di mascherine e guanti monouso provenienti da utilizzo domestico e non domestico), possono che essere smaltiti nei rifiuti indifferenziati", ha affermato Brusaferro, confermando che "le mascherine sono rifiuti urbani ed è consigliato l'incenerimento".

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