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Caos procure, Pignatone: "In silenzio finora, su di me fango e calunnie"

06 aprile 2022 | 14.37
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L’ex procuratore di Roma sentito come testimone a Perugia nel processo che vede imputati Fava e Palamara

(Fotogramma)
(Fotogramma)

(dall’inviata Assunta Cassiano)

“Io dal 29 maggio 2019 non ho mai parlato, ho atteso di essere in una sede istituzionale. In questi tre anni ho avuto, su di me e sui miei familiari, fango, accuse e calunnie”. Così l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone sentito in aula come testimone nel corso del processo nato dal filone di inchiesta della procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, sulle rivelazioni che vede imputati l’ex magistrato Luca Palamara e l’ex pm di Roma Stefano Rocco Fava, ora giudice civile a Latina.

“Ci tengo a dire che il primo a essere dispiaciuto del fatto che il Csm, probabilmente per ragioni di tempo, non abbia potuto fare una verifica sull’esposto di Fava - ha detto Pignatone in aula a Perugia - su quelle quattro carte, perché avrebbero capito che io ho fatto quello che dovevo fare, non c’era nessuna incompatibilità. Ho sentito delle molte doglianze del dottor Fava, alcune partite da lui e altre riportate, ‘scippo di processi’ ‘misure cautelari che non hanno avuto corso’: nessuna di queste doglianze è fondata e nessuna di tutte queste doglianze faceva parte dell’esposto al Csm che verteva su una presunta incompatibilità’”.

Nel processo, che si è aperto il 19 gennaio scorso davanti al Tribunale di Perugia, a Palamara e a Fava viene contestato di aver rivelato notizie d'ufficio "che sarebbero dovute rimanere segrete", e in particolare "che Fava aveva predisposto una misura cautelare nei confronti di Amara per il delitto di autoriciclaggio e che anche in relazione a tale misura il procuratore della Repubblica non aveva apposto il visto".

Nel procedimento Fava, all’epoca dei fatti sostituto procuratore nella capitale, è accusato di essersi “abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d'udienza e della sentenza di un procedimento”. Fatto che secondo i pm avveniva "per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita”. Il suo obiettivo, secondo l’atto di accusa “era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall’incarico di procuratore di Roma e dell'aggiunto Paolo Ielo” da effettuarsi anche con "l'ausilio" di Palamara “a cui consegnava tutto l’incartamento indebitamente acquisito”.

Secondo l’accusa Fava avrebbe acquisito atti di procedimenti penali “per far avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell'allora procuratore Pignatone” e “effettuare una raccolta di informazioni volta a screditare Ielo, anche attraverso l'apertura di un procedimento penale a Perugia” e quindi “a cagionare agli stessi un danno ingiusto”. Nel procedimento è costituito parte civile il procuratore aggiunto di Roma Ielo.

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