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Musica: Caruso, passione e 'tornaconto' di Cosa Nostra

27 ottobre 2020 | 17.16
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dettaglio del francobollo dedicato al tenore Enrico Caruso
dettaglio del francobollo dedicato al tenore Enrico Caruso

Alla vigilia dei due anniversari di Enrico Caruso – l’anno prossimo si celebrerà il centenario della sua morte e nel 2023 i 150 anni dalla nascita – un’inchiesta del giornalista Michele Bovi pubblicata dal web magazine CoolMag illustra come il 'tenore dei tenori' sia stato l’artista più sfruttato da Cosa Nostra in materia di plagi. Fin dall’inizio del secolo scorso Caruso, famosissimo negli Stati Uniti, fu vittima prima di un tentativo di estorsione da parte della Mano Nera – l’organizzazione criminale italo-americano all’origine di Cosa Nostra – e poi di tutta una serie di contraffazioni delle canzoni da lui rese celebri. Gli immigrati italiani avevano bisogno delle loro canzoni e Cosa Nostra s’impossessò del magnifico repertorio napoletano, creò le proprie case editrici che ricompilavano i bollettini dei brani resi celebri nelle Americhe dai dischi di Caruso, accreditando spesso nuovi autori legati all’organizzazione criminale: in questo modo i profitti delle incisioni e delle esecuzioni pubbliche restavano alla mafia americana con poche briciole o senza alcun riconoscimento per i compositori originari.

Cosa Nostra pubblicava spartiti e gestiva spettacoli ed edizioni in due negozi di Mulberry Street, la via d’accesso al quartiere newyorkese di Little Italy. I mafiosi controllavano la Società Libraria Italiana che a sua volta era la depositaria dei diritti d’autore italiani in Usa col nome di Italian Book Company, società che si occupava di registrare le opere presso l’Ufficio del Copyright di Washington per conto dei maggiori editori italiani, da Bideri a Bixio, da La Canzonetta alla Casa E.A. Mario. Ma i numeri non sono stati mai trasparenti né soddisfacenti.

"È una problematica nata in quell’epoca ma che si è trascinata fino ai giorni nostri coinvolgendo l’intera produzione musicale italiana – racconta a Bovi l’avvocato Giorgio Assumma, che è stato presidente della Siae dal 2005 al 2010 – Proprio negli anni in cui ero a capo della società degli autori chiesi all’ambasciatore degli Stati Uniti di intervenire. Qualcosa si mosse: poco di significativo, nulla di definitivo". Il primo grande successo finito nel mirino dell’organizzazione criminale fu ‘O sole mio'. La canzone depositata nel 1898 dal compositore Eduardo Di Capua con il poeta Giovanni Capurro divenne, grazie all’esecuzione discografica di Enrico Caruso del febbraio del 1916, l’inno dell’Italia nel mondo. Per poi subire una lunga serie di trasformazioni nei crediti a partire dalla fine degli anni Quaranta quando a governare Cosa Nostra e la comunità italiana d’America con le sue iniziative musicali erano Frank Costello e i luogotenenti Vito Genovese, Lucky Luciano, Joe Adonis, tutti gangster con la passionaccia per le canzoni.

Il brano napoletano fu tradotto in 'There’s No Tomorrow', firmato da Al Hoffman, assieme all’arrangiatore Leon Carr e al paroliere Leo Corday. Nessun cenno ai veri autori italiani. La canzone fu affidata alla voce dell’attore Tony Martin, all’anagrafe Alvin Morris. Il disco fu pubblicato dalla Rca Victor nel 1949 e ottenne immediatamente un riscontro trionfale. There’s No Tomorrow finì anni dopo anche nei repertori di due illustri esecutori italoamericani, Dean Martin, partner preferito di Frank Sinatra, e Al Martino che ebbe rapporti altalenanti con Cosa Nostra, tra l’idillio e la burrasca, un legame che comunque promosse la sua immagine cinematografica di artista fiduciario della mafia: fu affidato a lui il ruolo di Johnny Fontane, il cantante protetto dai Corleone, ispirato a Frank Sinatra, ne 'Il Padrino parte prima' e 'Il Padrino parte terza'.

Nel 1960 fu Elvis Presley a incidere una altrettanto popolare versione in inglese di '‘O sole mio' sempre per l’etichetta Rca con il titolo 'It’s Now or Never' e i crediti attribuiti agli autori Aaron Schroeder e Wally Gold, stavolta però con l’aggiunta del nome di Di Capua (sull’etichetta del disco ma non sulla partitura musicale). La storia si è ripetuta con 'Santa Lucia', diventata 'Little Lonely One' con milioni di copie vendute nelle versioni del gruppo americano The Jarmels, del gallese Tom Jones e persino di Adriano Celentano che la tradusse nel 1963 in 'Non essere timida' senza accorgersi che stava riconoscendo i crediti a compositori americani che avevano plagiato il capolavoro napoletano.

Un altro cavallo di battaglia di Caruso, 'La Danza - Tarantella Napolitana', fu oggetto di plagio e tramutato in una canzone che riscosse la stessa popolarità e addirittura maggior successo discografico dell’originaria. 'La Danza – Tarantella Napolitana' era stata pubblicata nel 1835 con la musica di Gioacchino Rossini abbinata al componimento del poeta Carlo Pepoli: quell’aria resa celebre dall’incisione di Caruso del 1912 e quelle parole ‘Già la luna è in mezzo al mare, mamma mia, si salterà’ divennero nel 1927 per la Italian Book Company di New York 'C’è la luna mezzo mare', filastrocca firmata dal marinaio siciliano Paolo Citorello, incisa per mezzo secolo con titoli diversi (Oh! Ma-Ma!, Lazy Mary, Zooma zooma, Mi vogghiu maritari) da artisti italoamericani celebri come Dean Martin, Louis Prima, Lou Monte, con milioni di dischi venduti per ogni versione e il sigillo distintivo della comunità tricolore negli States: è la canzone della festa nuziale in apertura del film 'Il padrino' diretto da Francis Ford Coppola nel 1972.

L’indagine di Bovi si conclude con una vera chicca: Caruso è stato addirittura ispiratore di se stesso. Lucio Dalla, infatti, ha scritto il noto brano 'Caruso' proprio ispirato dal tenore, ritrovandosi per caso a soggiornare in un albergo di Sorrento, proprio nella suite in cui il grande tenore aveva trascorso gli ultimi mesi di vita. Lucio Dalla in 'Caruso' cita il famoso brano partenopeo 'Dicitencello vuje' proprio nel ritornello, sebbene nella discografia del grande tenore non compaia (..'Te voglio bene assaje / Ma tanto tanto bene sai./ È una catena ormai / che scioglie il sangue dint' 'e 'vvene sai...').

Il rischio di una denuncia per plagio da parte dell'editore del brano napoletano era alto, così l’ufficio legale della Bmg si mise in moto affidando la questione a un dirigente storico della Rca Italiana, l’avvocato-musicista Ettore Zeppegno.

"L’editore di Dicitencello vuje era Luciano Villevieille Bideri – racconta Zeppegno – Lo incontrammo e gli facemmo ascoltare la canzone di Dalla. Rispose che per lui era una citazione gradita perché poteva suscitare l’interesse delle nuove generazioni verso quel classico della musica napoletana. Non ci rilasciò alcuna liberatoria scritta. Caruso riscosse un successo straordinario ma nessuno mai avanzò diritti per quel ritornello d’altri tempi. La parola di Villevieille Bideri contava più di qualsiasi documento autografo".

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