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Caso Charlie, Cei: "Disumano stabilire chi ha diritto a vivere e chi no"

30 giugno 2017 | 15.20
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(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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E' "disumano arrivare a stabilire chi ha diritto a vivere e chi no". Don Carmine Arice, direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Cei, interpellato dall'Adnkronos sul caso di Charlie, il bimbo inglese di dieci mesi nato con una rara malattia genetica che morirà in queste ore per decreto della Corte europea dei diritti umani, guarda con grande preoccupazione alla vicenda che arriva dall'Inghilterra. E avverte: "Il problema è che il caso rischia di fare scuola, aprendo strade di morte".

Il direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale sanitaria della Cei sottolinea come con questa vicenda si tocchi con mano "la crisi antropologica denunciata da papa Francesco con la cultura dello scarto. Si fissano parametri su ciò che è vita e dignità e su ciò che non lo è, questa è disumanità. Stiamo andando verso il principio di autodeterminazione dove i diritti individuali ("che talvolta sono solo desideri") devono essere garantiti dallo Stato".

Con il caso del piccolo Charlie si arriva a negare perfino il diritto di sperare, di illudersi. "Questo è il metro di misura di una società che, come dice a ragione il Papa, non sa prendersi cura della fragilità più estrema. Viene chiusa la porta alla speranza", dice don Arice mettendo in guardia sulle conseguenze: "Non riusciamo a dare un senso alla vita e allora si decide che va eliminata. Abbiamo avuto filosofi e studiosi che hanno invitato a non mettere al mondo figli per non farli soffrire. Questa è pura disumanità. Se pensiamo poi che oggi con la diagnosi prenatale ci sono bambini che non si fanno nemmeno nascere..".

Il direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale sanitaria della Cei riflette sull'aspetto peggiore della vicenda: "E' il non riconoscere che una persona, con tutte le fragilità che può avere, ha una sua dignità. La dignità è data dal fatto che si è dentro la comunità umana. Se togliamo questo punto fermo arriveremo a stabilire chi ha diritto a vivere e chi no". Come accaduto con il piccolo Charlie. E "il punto drammatico - dice con preoccupazione don Arice - è che decisioni come quella del piccolo Charlie finiscono per fare scuola".

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