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Caso Cucchi, giudici in camera di consiglio

14 novembre 2019 | 07.13
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Attesa in serata la sentenza. Nel processo bis sono imputati 5 carabinieri, con accuse che vanno a vario titolo dall'omicidio preterintenzionale al falso e alla calunnia. Decisivo sarà capire se c'è un collegamento fra le lesioni provocate dal pestaggio di Cucchi e la sua morte. I genitori: "Ci aspettiamo una svolta"

(Foto Fotogramma)
(Foto Fotogramma)

di Daniele Dell’Aglio
Si sono appena ritirati in camera di consiglio i giudici della prima corte di assise di Roma chiamati a decidere la sentenza del processo bis sulla morte di Stefano Cucchi che vede imputati 5 carabinieri, con accuse che vanno a vario titolo dall'omicidio preterintenzionale al falso e alla calunnia. La decisione, nell'aula bunker di Rebibbia, è attesa intorno alle 18.

"Dal punto di vista probatorio penso sia ampiamente dimostrata la violenza subita da Stefano tanto che alla fine quel pestaggio violentissimo è stato perfino ammesso dagli avvocati della difesa". Così all’Adnkronos il legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, in vista della sentenza.

Il pm Giovanni Musarò ha chiesto di condannare a 18 anni di carcere Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro, i due carabinieri che avrebbero picchiato il geometra 31enne arrestato dai carabinieri il 15 ottobre del 2009 per droga e deceduto una settimana dopo all'ospedale Sandro Pertini di Roma. Assoluzione 'per non aver commesso il fatto' invece è stata chiesta per il terzo militare dell’Arma, Francesco Tedesco, accusato come gli altri due di omicidio preterintenzionale, ma che avrebbe assistito al pestaggio intervenendo per bloccare i suoi due colleghi, come ha poi rivelato lo stesso Tedesco a distanza di anni.

Il pm ha chiesto inoltre la condanna a 3 anni e mezzo per Tedesco per l'accusa di falso e la condanna per la stessa accusa a 8 anni di reclusione per il maresciallo Roberto Mandolini, mentre il non doversi procedere per prescrizione dall’accusa di calunnia è stata chiesta per Tedesco, Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini.

Il legale della famiglia Cucchi illustra quelli che ritiene i punti a favore dell’accusa, che può contare su intercettazioni ambientali e telefoniche e sulle dichiarazioni dei testimoni, diretti e indiretti, di quel pestaggio. Anselmo cita innanzitutto il detenuto Luigi Lainà, sentito dalla Procura e che in corte d'assise ha riferito che la sera del 16 ottobre del 2009 si trovava presso il centro clinico di Regina Coeli quando vide arrivare un ragazzo che aveva il volto "gonfio come una zampogna".

Come detto da Lainà, Stefano gli disse che si erano "divertiti" con lui e che a picchiarlo erano stati due carabinieri in borghese mentre un terzo in divisa intervenne per fermare i due colleghi. "Oltre alle dichiarazioni di Lainà, abbiamo la confessione di Francesco Tedesco" continua l'avvocato riferendosi al carabiniere imputato-teste che a distanza di anni ha svelato il pestaggio subito da Cucchi accusando i suoi due colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro. Ci sono poi le parole riferite dai carabinieri Riccardo Casamassima e sua moglie Maria Rosati ("E' successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato", ndr.) grazie alle quali è stata aperta l'inchiesta bis sulla morte del 31enne romano. Casamassima e Rosati raccontano di aver sentito che i carabinieri stavano cercando di scaricare le responsabilità sulla polizia penitenziaria.

Decisivo, ai fini della sentenza, sarà capire se c'è un collegamento fra le lesioni provocate dal pestaggio di Cucchi e la sua morte. Per il legale della famiglia c'è "la prova del nesso causale: Stefano stava bene, è stato arrestato dopo essere uscito dalla palestra e dopo 6 giorni è morto; è morto a causa della vescica neurologica (provocata anche dal malfunzionamento del catetere, ndr.) ma in ogni caso qualunque sia la causa del decesso, si è dimostrato che il ricovero ospedaliero e le conseguenze di quel pestaggio dal punto di vista medico legale sono direttamente ricollegabili - afferma l'avvocato Anselmo - Possiamo parlare di stress, di arresto cardiaco , si tratta comunque di cause riconducibili a uno stato di morbosità indotto e inflitto dal pestaggio, non si scappa".

"La giurisprudenza in materia di omicidio preterintenzionale è molto severa, qualsiasi elemento di complicanza medica che insorga in seguito a un'aggressione fisica e che possa portare alla morte è comunque sempre ascrivibile alla persona che ha messo in pericolo e leso l'integrità fisica della vittima. Chi aggredisce il prossimo deve sopportare tutti i rischi conseguenti di quell'aggressione - conclude Anselmo - non è come l'omicidio colposo, dove il nesso causale è molto diverso".

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