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Codogno un anno dopo, volontario: "In quarantena per paziente 1"

21 febbraio 2021 | 10.37
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C'è un primo e un dopo nella vita di ognuno e ha sempre una data. Per Luigi Grazioli, 35 anni, volontario della Croce rossa di Codogno e impiegato in un'azienda che distribuisce gas, la linea di confine ha la data del 20 febbraio 2020. Uno spartiacque collettivo. "Fino a quel giorno la mia vita è stata normale", racconta in un’intervista all'Adnkronos, "poi - il pomeriggio del giorno dopo - alla mia porta hanno bussato degli infermieri: dovevo fare il tampone e così il Covid è diventato inaspettatamente una possibilità. Il 15 febbraio ho tenuto un corso dell’associazione, in collaborazione con il Comune, sull'utilizzo del defibrillatore per gli appartenenti alle strutture sportive e c'era Mattia, il ragazzo che l'Italia conosce erroneamente come il paziente 1. Lui gioca a calcio ed era lì".

Mentre il Paese si interrogava su cosa fare, "è iniziata la mia quarantena. Mi tenevo con contatto con gli altri due istruttori del corso, ci scambiavamo impressioni e timori. Il contatto con Mattia, ignaro di essere portatore del virus, c'era stato e non potevo fare nulla per tornare indietro: eravamo stati insieme per cinque ore in una stanza. Non ho avuto paura, ma ho avvertito un senso di inadeguatezza, la consapevolezza di non essere preparato. Alla fine siamo risultati tutti negativi", racconta il volontario impegnato nel soccorso e nella formazione.

Una volta uscito dalla sua stanza le strade di Codogno hanno restituito amplificata la sensazione di straniamento. "Era cambiato praticamente tutto nel mio lavoro in ambulanza. Ricordo la mia prima uscita tutto bardato, il numero di interventi senza sosta nei primi mesi, gli ospedali da raggiungere sempre più lontani, i parenti che non potevano salire in ambulanza e le cui ansie andavano gestite. Chi ci chiamava aveva paura di andare in ospedale, di fronte avevamo casi sempre più gravi", spiega Luigi che ha rincontrato Mattia in un triangolare di calcio tra la nazionale dei sindaci, una selezione di politici della 'ex zona rossa' e una selezione di volontari.

A Codogno le vittime hanno volti familiari, sono morti della porta accanto - due i volontari della Croce Rossa deceduti per Covid -, tante le famiglie distrutte da un virus contro cui bisognerà combattere ancora a lungo. "Non è ancora finito niente. L'ultimo periodo non ha nulla a che vedere con i primi tre o quattro mesi che hanno lasciato più il segno e pensavo 'non ce la faremo'. Non si sa quando finirà tutto questo, credo che il virus seguiterà a incidere sulla normalità, sul modo in cui continueremo a proteggerci: penso alle tute da indossare in ambulanza o alle mascherine diventate una seconda pelle. Dubito che torneremo a tenere corsi in aule affollate, non ritengo che ci libereremo a breve delle mascherine, io credo che questa emergenza abbia segnato un prima e un dopo. E no, non ne usciremo migliori", dice il 35enne appena vaccinato.

"Anche se avessi avuto una telecamera addosso durante i miei interventi c’è chi avrebbe gridato a una messinscena. Io non sono nessuno per dire alla gente cosa deve fare, ma so qual è la realtà e quali sono gli atteggiamenti giusti da tenere. Io con i negazionisti non discuto, io so cosa ho visto, ricordo ogni ‘grazie’ ricevuto con lettere e telefonate dai pazienti e dai parenti. Sono contento di aver seguito il corso della Croce Rossa 11 anni fa, dal primo giorno ho imparato qualcosa di utile per me e per altri e continuerò a mettere a disposizione il mio tempo per aiutare chi ha bisogno", conclude Luigi Grazioli.

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