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Collaborazione tra generazioni verso l'innovazione

08 giugno 2018 | 15.24
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(Fotogramma)
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Il 74,3% degli italiani dice che “per avere una vera crescita economica serve il contributo (idee, impegno, valori) di ogni cittadino e quindi anche del mio”. Ma c’è di più: per il 73,5% “per avere una vera crescita economica serve il contributo di tutte le generazioni insieme, anche dei pensionati”. Questi alcuni dei risultati emersi dalla ricerca condotta da AstraRicerche per Manageritalia, su un campione rappresentativo di 1.462 20-75enni, e presentata oggi a Milano in apertura del Meeting Prioritalia 2018 dal titolo 'Costruire un patto generazionale nell’economia dell’innovazione e delle competenze'.

Non è quindi un caso che il 76,8% degli italiani valuti positivamente l’intergenerazionalità in modo crescente al crescere dell’età (64% under 40, 80% 50-60enni e 91% over 60). Emerge però un forte stacco tra i 'desiderata' e la presenza nella realtà: in famiglia (desiderata 80,1% e realtà 55,1% con un gap di -25%), nel lavoro (79% e 32,1, gap 46,9%), nel volontariato (78,4% e 54,3%, gap 24,1%), nella società (78,1% e 32,2%, 45,9%), nei rapporti personali (74,7% e 42,1, gap 32,6%), in politica (69,9% e 23,9%, gap 46%).

Il gap più forte è proprio nel mondo del lavoro, come riconoscono anche i manager, oggetto di un’indagine parallela (tramite più di 1.000 interviste), che valutano l’intergenerazionalità diffusa solo al 19,5% in azienda, al 10,6% nella società e all’8,4% in politica.

Le cause per italiani e manager sono mancanza di risorse (40,7% italiani e 38,9% manager), differenze nell’utilizzo delle nuove tecnologie e saperi (39,1% e 53,3%), motivi culturali legati al fatto che i più giovani non capiscono e apprezzano i meno giovani (38,9% e 39,3%) e, al primo posto per i manager, mancanza di chi sappia guidare e condurre i processi di intergenerazionalità e far dialogare le varie generazioni (36,1% e 75,3%). In quest’ultimo caso, i manager, in un certo senso accusando se stessi e la classe dirigente e politica, non si tirano certo indietro.

A confermare questa voglia di collaborare c’è il vissuto reciproco tra le varie generazioni. I 20-40enni sono ritenuti dagli italiani soprattutto aperti all’innovazione, al cambiamento nella società, nell’economia e nel mondo del lavoro (66,2%, 69% dai 50-65enni) e fondamentali per il successo dell’Italia, per la ripresa economica (64,3%, 67% dai 50-65enni). In negativo si ritiene che pensino ognuno a se stesso più che al bene di tutti (57,7%, 61% dai 41-49enni, 59% loro stessi).

Dei 50-65enni gli italiani pensano che hanno etica e valori forti (72,7%, 66% gli under 40), voglia di fare e impegnarsi sul lavoro (69,3%, 58% gli under 40), e sono ben preparati per il mondo del lavoro (68,3%, 59% gli under 40). In negativo si pensa meno che siano aperti all’innovazione e al cambiamento (41,6%, 29% gli under 40).

E i pensionati, quelli additati come colpevoli dello scippo del futuro dei giovani? Nulla di tutto ciò. Sono sì ritenuti troppo numerosi rispetto ai giovani e ai giovanissimi (56,8%), e rispetto alle persone che lavorano (51,9%), ma si riconosce loro voglia di fare, di impegnarsi assistendo parenti e amici (56,7%) e di essere ben preparati per dare ancora un contributo nella società (53,4%). A ulteriore conferma del mancato conflitto intergenerazionale sono pressoché assenti, inferiori al 10-15%, sentimenti reciproci quali poco interesse, critica e invidia per il periodo nel quale sono nati o per come vivono.

Se vogliamo proprio trovarlo, un 'conflitto' c’è, seppur minimo e minore di quello che ci si potrebbe aspettare, tra under 40 e 50-65enni, dove i più giovani vedono i meno giovani meno positivamente di tutte le altre generazioni in varie dimensioni: apertura all’innovazione (29% contro 41,6% generale), essere fondamentali per successo Italia (39% contro 51,1%) e soprattutto aperti a collaborare con persone di altre fasce d’età (anche molto diverse dalla loro) per trovare soluzioni nel mondo del lavoro (42% contro 58,4%).

“I risultati di quest’indagine - ha detto Marcella Mallen, presidente Fondazione Prioritalia -

parlano di un Paese unito che ha voglia di collaborare allo sviluppo e di essere accompagnato verso quell’innovazione a livello economico e sociale che ne è la base di partenza. Una risposta chiara a quanto affermato martedì al Senato dal premier Giuseppe Conte quando, parlando del dialogo con le parti sociali, ha detto che 'occorre rimettere in moto, in maniera corale, tutte le molteplici energie positive del nostro Paese'".

"Il titolo e obiettivo del nostro incontro di oggi 'Costruire un patto generazionale nell’economia dell’innovazione e delle competenze' -ha aggiunto Mallen- risponde agli italiani e alla sua positiva apertura di dialogo. Fondazione Prioritalia è il veicolo per portare il contributo dei manager nella società. E i manager, per il loro ruolo, possono e devono essere il motore di un processo che deve coinvolgere l’Italia produttiva e contestualmente tutti gli italiani per costruire davvero un’alleanza tra generazioni e territori che in azienda, ma ancor più fuori, ci veda partecipi di un cambio di paradigma indispensabile per riprenderci il futuro. L’innovazione ad ogni livello è il necessario punto di partenza e svolta e sarà, insieme alla consistenza e alla capacità di far accadere le cose, il filo conduttore delle nostre azioni future”.

Tantissimi i macro temi trattati nell’indagine: la trasformazione digitale del lavoro, le competenze e i territori, il welfare, la demografia e i must per un vero sviluppo.

Parlando di cosa serve per la crescita economica gli italiani non hanno dubbi: spazio a merito, competenza, alla vera capacità di fare nel pubblico e nel privato (76,6%), che le aziende tornino a investire, pensare al futuro e avere una visione (75,7%) e, come abbiamo già detto, il contributo di tutti, anche dei pensionati, e un impegno personale forte (73,5%). A conferma si afferma a livelli intorno al 70% che attori della ripresa devono essere imprenditori, manager pubblici e privati, intellettuali e insegnanti, i più giovani (under 40), i più esperti (50-65enni) e anche, ai primi posti, la tanto vituperata classe politica (71,7%).

Per quanto riguarda alcuni fenomeni in atto a livello sociale, gli italiani percepiscono fortemente l’invecchiamento degli italiani (89,3%), che dicono è destinato ad aumentare (75,1%) in parallelo con un aumento della vita media (67,5%). C’è invece minor consapevolezza della diminuzione della popolazione italiana nei prossimi anni (60,5%), dell’aumento della migrazione tra Sud e Nord (46,6%) e della continua diminuzione delle nascite (69,2%). Bassa anche la percezione che la differenza di sviluppo economico tra Nord e Sud è molto grande (73,4%), così come quella, anche nelle aree più sviluppate, tra grandi città e il resto del territorio (58,3%).

Dalla crescita economica ci si attende tanto. Infatti, si dice che, se gestita in modo giusto e corretto, possa aiutare tutti, non solo le aziende e i lavoratori, ma l’intera società italiana (72,2%), che senza di essa la condizione delle famiglie e dei lavoratori non potrà migliorare (74,6%), che permetterà di garantire la pensione ai pensionati attuali e futuri e redditi a chi lavora e lavorerà in futuro (61,8%). Ma solo un italiano su quattro (18,5%) pensa che la crescita sia già iniziata e la crisi sia alle spalle, così come quasi un italiano su due (43,9%) pensa che anche con una forte crescita economica milioni di persone in Italia resteranno in uno stato di povertà o vicino alla povertà.

A riprova della volontà di collaborare e lottare insieme per il futuro, tutti (92,7%) sono propensi a mettere a disposizione le loro competenze per creare sviluppo, in particolare, per la crescita della generazione che segue (53,2% italiani, 80,6% manager) e del territorio dove si abita (54,8% italiani e 58,1% manager).

Sul fronte innovazione, c’è la percezione di avere un profondo gap culturale e formativo a livello economico e sociale per cogliere appieno la parte buona delle trasformazioni in atto. C’è poi la sensazione forte della marginalità di tanta parte del territorio nazionale, non solo al Sud, e proprio per questo si chiede che tutti i territori vengano coinvolti appieno nei processi di trasformazione in atto. Per quanto riguarda il lavoro, l’Italia è divisa a metà tra vecchio (posto e stipendio fisso, poche responsabilità, no estero) e nuovo lavoro, con una forte e diffusa distanza dall’innovazione digitale se non nelle forme più smart (telelavoro).

Forte, infine, è la consapevolezza dell’importanza della formazione e delle competenze, per questo si chiede di migliorare il sistema formativo (ritenuto di ottimo livello solo da un terzo degli italiani), si è consci che la capacità di apprendere sarà fondamentale (83%) e di dover pensare alla propria formazione in modo più continuo e anche in autonomia (90%) per avere come singoli la capacità di cambiare, rinnovarsi come lavoratori e di acquisire nuove competenze (57,9%).

#Prioritalia, costituita in Fondazione nel 2018 da Manageritalia e Cida, nasce nel 2012 su iniziativa delle principali organizzazioni di rappresentanza della dirigenza italiana (Cida, Federmanager, Manageritalia, Fenda, Fidia e Sindirettivo Centrale).

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