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Come curare l'ipertensione arteriosa

14 ottobre 2016 | 12.21
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 - GieZetStudio - Fotolia
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Esistono diverse classi terapeutiche per curare l’ipertensione arteriosa. La cosiddetta terapia di prima linea, vale a dire i primi farmaci che vengono prescritti ad un paziente nuovo, sono solitamente gli ACE-inibitori o i sartani (in genere prescritti in alternativa ai primi in caso di scarsa tollerabilità).

Tuttavia nella maggior parte dei casi la normalizzazione dei valori pressori con un solo farmaco è transitoria e non definitiva. Molti pazienti rispondono infatti nei primi mesi di terapia ma nel tempo subiscono un nuovo rialzo della pressione. In questi pazienti l’ipertensione viene definita non controllata o di difficile controllo e l’approccio farmacologico abituale consiste non nella sostituzione dei farmaci precedenti con altri più potenti, ma nell’aggiunta di altri prodotti.

Ecco perché all’ACE-inibitore o al sartano è consuetudine aggiungere il diuretico tiazidico ed eventualmente farmaci con una potente azione vasodilatatrice come i calcio-antagonisti.

Se l’ipertensione non viene controllata neanche con il ricorso a tre farmaci, di cui un diuretico, si parla allora di ipertensione resistente.

In questi casi, ormai da tempo, le linee guida per il trattamento dell’ipertensione suggeriscono l’utilizzo dei farmaci antialdosteronici. Si tratta di preparati in grado di antagonizzare gli effetti di un ormone, l’aldosterone, che gioca un ruolo fondamentale nella genesi e nell’aggravamento dell’ipertensione.

Negli ultimi anni si è dimostrato come l’aldosterone, oltre a causare il rialzo dei valori pressori, è responsabile di danni evidenti a carico di organi importanti come il cuore, i vasi sanguigni e i reni.

L’aldosterone, infatti, nel tentativo di compensare le conseguenze dovute alle sollecitazioni a cui i vari organi sono sottoposti nella malattia ipertensiva, stimola la crescita di un tessuto riparatore di tipo fibroso che cicatrizza le strutture bersaglio ma si sostituisce al tessuto funzionale, compromettendo per esempio la capacità contrattile del cuore e l’elasticità dei vasi.

Quando si tratta l’ipertensione non si deve pensare solo al target pressorio, cioè alla riduzione della pressione arteriosa fino a raggiungere i valori consigliati, ma occorre anche ricordare che l'ipertensione è un importante fattore di rischio perché aumenta la probabilità che si verifichino altre malattie cardiovascolari (angina pectoris, infarto miocardico, ictus cerebrale, scompenso cardiaco) a seguito dei danni mediati dagli effetti negativi dell’aldosterone.

Mentre i calcioantagonisti esercitano solo un’azione vasodilatatrice meccanica, riducendo la pressione ma senza proteggere gli organi dai processi fibrotici, gli antialdosteronici svolgono entrambe le funzioni offrendo un approccio terapeutico più completo.

Le più recenti evidenze cliniche hanno dimostrato che l’utilizzo precoce degli antialdosteronici, già nel paziente non più controllato dalla terapia di prima linea, e prima dell’eventuale ricorso ai calcioantagonisti, è in grado non solo di normalizzare i valori pressori ma anche di proteggere il paziente dal danno d’organo indotto dall’aldosterone.

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