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Coronavirus, A. Battaglia-Mayer positiva: "Io e mio marito bloccati in Svizzera, Stato intervenga"

19 marzo 2020 | 16.02
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Alexandra Battaglia-Mayer
Alexandra Battaglia-Mayer

di Silvia Mancinelli -

"Io e mio marito, che ha 71 anni ed è a rischio, siamo positivi al Covid-19. Lo abbiamo scoperto in Svizzera, dove mi trovo per lavoro, e ora siamo bloccati qui con nostro figlio e un suo amico, entrambi minorenni. Lo Stato italiano intervenga, vogliamo tornare a casa". Il drammatico appello è di Alexandra Battaglia-Mayer, (https://www.youtube.com/watch?v=zcsXYbuILSg&feature=youtu.be) ricoverata in ospedale da questa mattina insieme al marito Roberto Caminiti. I due, docenti di Neuroscienze e di Fisiologia all'università La Sapienza di Roma, si trovano in Svizzera dal 7 marzo scorso, quando sono partiti per partecipare a un congresso medico–scientifico internazionale. Risultati positivi al test per il coronavirus, dopo essersi sentiti improvvisamente male, si sono trovati al centro di una vera e propria odissea e ora, assistiti dal Patto Trasversale per la Scienza e dal loro avvocato Corrado Canafoglia, chiedono di essere rimpatriati.

"Una volta visitati da un medico - racconta la professoressa Meyer - siamo stati mandati via dall'albergo che ha naturalmente ha dovuto chiudere. Da lì è iniziato il calvario perché abbiamo cercato di trovare in modo itinerante situazioni di fortuna. Prima siamo stati trasferiti in un residence a Villar surOllon, nel Cantone di Vaud, completamente vuoto e senza personale: lì abbiamo scoperto che nessuno poteva portarci da mangiare, non c'era soluzione per ricevere cibo dall'esterno, solo il medico per pietà ci ha portato qualcosa. Poi ci hanno trasferito su iniziativa del sindaco del posto in un rifugio di montagna, uno chalet assolutamente essenziale con un unico ambiente, in cui stare con i due ragazzi in situazioni drammatiche e di nuovo senza cibo".

Impossibile restare in quelle condizioni, con la febbre alta e nemmeno la possibilità di uscire per la spesa o di interagire con qualcuno, essendo positivi. "Abbiamo chiesto più volte l'ospedalizzazione, eravamo in condizioni precarie, nemmeno riuscivamo ad alzarci dal letto. Il medico in un primo momento ha esitato - continua Alexandra Meyer - dicendo che non c'erano i criteri, poi ieri ha deciso di ricoverarci allontanandoci soprattutto dai due ragazzi che spero ora potranno tornare in Italia tramite un aereo, previa visita medica. Una volta entrati in ospedale, a Rennaz, dopo una lunga contrattazione perché non volevano accettare il ricovero, siamo riusciti, solo per una questione umanitaria, a ricevere una stanza perché sostenevano che nelle nostre condizioni dovevamo fare il ricovero a casa. Ma qui non abbiamo casa e non possiamo andare da nessuna parte, essendo positivi. Ci troviamo in un paradosso: dobbiamo allontanarci da questo luogo ma non sappiamo dove andare. Loro ritengono che dobbiamo tornare nel nostro Paese, cosa che saremmo ben lieti di poter fare. Chiediamo aiuto allo Stato Italiano - conclude - affinché provveda al nostro rimpatrio perché non siamo in grado di guidare dalla Svizzera a Roma, dove si trova la nostra abitazione, soprattutto senza tappe intermedie".

L’Associazione 'Il Patto Traversale per la Scienza' e l’Istituto Luca Coscioni lanciano un accorato appello perché il Ministero degli Esteri intervenga. "Pur nella remota ipotesi in cui i nostri connazionali riescano a raggiungere con mezzi propri il confine - sottolinea il legale della coppia - una volta entrati in territorio italiano, in base alle normative in vigore, sarebbero passibili di denuncia penale".

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