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Coronavirus: lo storico Cardini, 'la pandemia è figlia della globalizzazione'

07 aprile 2020 | 16.44
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Coronavirus: lo storico Cardini, 'la pandemia è figlia della globalizzazione'

(di Carlo Roma) - L'emergenza sanitaria che ha investito l'Italia e che si è diffusa in tutto il mondo è il frutto del lungo processo della globalizzazione iniziato con l'avvio della modernità. La pensa così lo storico e medievalista Franco Cardini che, conversando con l'Adnkronos, analizza l'evoluzione delle pandemie. "La globalizzazione - sostiene - ha velocizzato le notizie ma anche qualunque altro tipo di comunicazione. Si muove tutto più velocemente ma il rovescio della medaglia è che anche i microbi, i batteri e i virus sono molto più veloci. Perché la peste nera arrivasse da Pechino, lungo la via della Seta, fino a Costantinopoli al tempo di Giustiniano nel VI secolo dopo Cristo, ci sono voluti tre o quattro mesi. Oggi ci sono migliaia e migliaia di voli che fanno viaggiare tutta la popolazione del mondo. E allora, naturalmente, il contagio è più accelerato".

"C'è stata - spiega Cardini - una grande rottura nella storia mondiale, una vera rivoluzione, ed è stato il periodo della nascita della modernità che si sviluppa grosso modo dal Trecento al Settecento. L'inizio della globalizzazione, che coincide con la nascita della modernità, è stata la vera linea di faglia, la prima rottura. Prima le cose andavano più lentamente, dopo hanno cominciato a correre. Non a caso per millenni ci siamo mossi o a piedi o a cavallo. In pochi decenni è cambiato tutto: è stata inventata la macchina a vapore, quindi il treno, la macchina a scoppio e quindi l'automobile. A quel punto, dal Novecento, le invenzioni non si sono più fermate. La vera rottura nella storia universale è la globalizzazione, tutto merito di noi occidentali che abbiamo conquistato il mondo".

Cardini segnala poi, nelle pandemie, alcune costanti "rivelate dai testimoni: all'inizio voci piuttosto disarticolate e poco chiare sostengono che molto lontano nel mondo ci sono persone che muoiono come mosche. Poi la cosa si avvicina: in un primo tempo c'è incredulità e, quando si vede che la gente muore anche da noi, all'incredulità si aggiunge il panico". Da qui si parte "alla ricerca del nemico metafisico che sparge il contagio", afferma Cardini. "Alla fine ci si rende conto che il contagio avviene stando insieme. E quindi si prendono delle misure empiriche".

Cardini ricorda che la storia è stata segnata da diverse pandemie. "In generale - afferma - nel Continente euro-afro-asiatico possiamo parlare di varie pandemie. La prima è quella di Atene nel V secolo avanti Cristo che si è sviluppata al tempo di Pericle ed è stata registrata da Tucidide. La seconda grande epidemia - prosegue Cardini - è stata registrata soprattutto a Roma e si è sviluppata nel periodo in cui sul trono imperiale sedeva la dinastia degli Antonini". La terza epidemia, ricorda lo storico, si sviluppò nel VI secolo dopo a Cristo e coinvolse "tutto il continente euro-afroasiatico mediterraneo. Noi l'abbiamo registrata a Costantinopoli perché qui lavorava Procopio di Cesarea che la racconta. Siamo al tempo dell'imperatore Giustiniano e per questo la chiamiamo peste di 'Giustiniano, perché si sviluppò sotto il suo regno".

Le altre epidemie ebbero luogo molto tempo dopo dal momento che si passa al "Trecento, Quattrocento, Cinquecento e Seicento. Ovvero, i quattro secoli del grande raffreddamento che noi chiamiamo la piccola era glaciale. Si comincia con il Trecento con la peste che colpì anche Firenze nel 1348 raccontata dal Boccaccio nel Decameron. In realtà, gli anni di questa epidemia vanno dal 1347 al 1352". Si arriva poi alla grande "peste descritta a Venezia nel 1540 circa e poi soprattutto si arriva a quella del 1630 descritta da Manzoni ne 'I Promessi Sposi'", evidenzia Cardini. "C'è stato poi - conclude - un nuovo episodio di cui abbiamo testimonianza grazie al lazzaretto di Marsiglia che ancora si vede nella zona portuale e siamo al 1720". Dopo questa data, grandi epidemie di peste "non ce ne sono state più. Senza dimenticare ovviamente l'epidemia di tifo, di colera e la spagnola", conclude lo storico.

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