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Coronavirus, il racconto dell'infermiera: "In un attimo ti sconvolge la vita"

17 marzo 2020 | 14.40
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Laura Maffi lavora all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: "Noi fra lutti e trincea, in Pronto soccorso 100 pazienti Covid al giorno, una ventina in codice rosso"

(Fotogramma)
(Fotogramma)

di Lucia Scopelliti

"E' un attimo e ti sconvolge la vita. Non ce l'aspettavamo così drammatica la situazione". Laura Maffi è infermiera di pronto soccorso all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo dal 2003. Di esperienza ne ha accumulata in tutti questi anni in prima linea. Ma non ha dubbi: fronteggiare la Covid-19 in uno dei territori più colpiti "è impegnativo da un punto di vista professionale e psicologico - testimonia all'AdnKronos Salute - I primi giorni non sembrava così difficile, invece piano piano tutto è diventato in salita e si continua così, senza tregua. Non c'è un momento in cui diciamo 'oggi meglio', perché non è così, ancora. Ad oggi in Pronto soccorso abbiamo una media di 100 pazienti Covid al giorno, con compromissione respiratoria più o meno importante - racconta - e una ventina in codice rosso che necessitano di supporto ventilatorio al di sopra della semplice mascherina".

Sono voci dalla trincea. Ieri Laura - 44 anni, tre figli che vivono a casa con lei e il marito - doveva essere di riposo, ma ha ricevuto la chiamata dall'ospedale. "C'era bisogno di una mano perché iniziano ad esserci malattie tra i colleghi, nonostante tutto il materiale messo a disposizione dall'azienda per proteggerci. La fortuna - aggiunge con la voce che si incrina - è di essere un gruppo molto unito. Posso dirlo ad alta voce e ho la pelle d'oca addosso. Nel Pronto soccorso lavoriamo bene tutti con un ottimo rapporto professionale, ci facciamo forza. Sono giorni faticosi, ma non c'è niente che ci sta impedendo di andare avanti con energia. Fai fatica, semmai, quando sei a casa di riposo e invece vorresti essere lì ad aiutare".

Guanti, camici, occhiali, mascherine e si comincia, "stando attenti a non sperperare i presidi che ci danno, ma sempre protetti. Quando mi capita di sentire colleghe che lavorano in altre regioni le allerto, devono prepararsi perché è un attimo e questa cosa qui", Covid-19, "ti sconvolge la vita - ripete - Un conto è sentire i racconti degli altri a parole, un conto è viverla di persona". Ti segna, assicura Laura che spiega come il nuovo coronavirus sia stato un uragano che ha stravolto il lavoro, e colpito anche gli affetti.

"Famiglia e 'corsia' si conciliano a fatica e lo si mette in conto. In questo periodo, però, è più difficile. Ognuno di noi ha anche un coinvolgimento personale, ha i suoi lutti. Per esempio a me è venuta a mancare mia nonna. Aveva 95 anni, da un po' di giorni le era venuta la febbre". Il copione è lo stesso, accomuna le vittime della Covid-19. "E' un copia e incolla sui decessi in questi giorni - osserva Laura - E man mano che si va avanti amici e familiari colpiti dal virus aumentano". E poi, dopo ore di pronto soccorso, si rientra a casa. "Fino a qualche giorno fa non avevo paura - ricorda - Ora ci sono momenti in cui si pensa di più, le malattie ci sono anche tra di noi e spero di non prendermi niente, anche per non abbandonare la ciurma". Il marito di Laura lavora in una grande azienda che in questi giorni di emergenza, con le misure disposte per il contenimento dell'epidemia, è chiusa. Quindi lui è a casa con i ragazzi, che hanno un'età dai 21 ai 9 anni.

"I miei figli sono orgogliosi e fieri del lavoro della loro mamma come tutti i figli e parenti dei miei colleghi. Mi fanno in bocca al lupo quando esco, mi chiedono come sto quando rientro. Con i grandi si parla liberamente, con il piccolo si maschera un po'", prosegue Laura. E si va avanti. A "scaldare il cuore" ci pensa anche "la popolazione di Bergamo. Sentiamo l'affetto di tutti - conferma - I messaggi e i piccoli doni che ci vengono dati di continuo, dalla pizza ai biscotti, sono gesti e attenzioni che rispecchiano questa comunità. Ti danno quella spinta emotiva in più per continuare. Anche con tutte le ansie, le paure e le preoccupazioni, qui c'è armonia. Siamo un'orchestra ben diretta". Anche se la stanchezza si fa sentire e sembra passato "un tempo infinito" da quando tutto è cominciato.

Il primo campanello d'allarme il 21 febbraio, giorno in cui è arrivato il primo paziente Covid. "In poche ore l'azienda e il Pronto soccorso si sono attivati per un necessario stravolgimento lavorativo e anche ambientale. Nelle prime settimane ci arrivavano procedure operative ogni giorno, in aggiornamento continuo. Inizialmente abbiamo avuto pazienti tutti molto anziani e già debilitati, poi si sono abbassate le medie delle età, fino a 60-55 anni e abbiamo avuto anche casi che in anamnesi sembravano godere di ottima salute. Colpisce vedere questi pazienti in completo isolamento, assistere al distacco dai loro cari. L'unica speranza, ora - conclude l'infermiera - è che si inizi a vedere questa benedetta curva epidemica che inizia a diminuire".

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