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Coronavirus, poliziotto in quarantena: "Io a Lodi per lavoro oggi piango con mia figlia al telefono"

16 marzo 2020 | 18.51
LETTURA: 3 minuti

Angelo Mollica, assistente capo del Reparto Prevenzione Crimine, nei check point della zona rossa lodigiana oggi nella sua Napoli lontano dalla famiglia

Coronavirus, poliziotto in quarantena:

di Silvia Mancinelli -
"Mia figlia oggi ha pianto a dirotto. Ero con lei in una videochiamata, ha solo 9 anni e mi ha detto che non ce la fa più, che sono bugiardo perché le avevo promesso che non saremmo stati molto lontani. Al mio rientro a casa, però, non ho potuto abbracciarla. Sono in quarantena, ho preferito evitare qualsiasi contatto e lei è con la mamma dai nonni". Angelo Mollica ha 40 anni, è assistente capo nel reparto prevenzione crimine della Polizia di Stato, nella sede di Napoli, e il 4 marzo scorso è partito per Lodi insieme a 11 colleghi per controllare i limiti di quella che era la zona rossa italiana prima che il virus diventasse emergenza nazionale. (VIDEO)

"Il reparto prevenzione crimine è il pronto intervento nazionale della Polizia, andiamo dove c'è più bisogno. Siamo stati smistati ai vari check point allestiti - racconta il poliziotto all'Adnkronos - uno sulla statale che porta a Casalpusterlengo e Codogno, uno a Guardamiglio, un altro a Maleo. Io li ho fatti tutti quanti. Siamo tornati il 10 marzo scorso, quando è stata dichiarata zona rossa tutta Italia e non c'era più bisogno di stare lì. L'amministrazione ci ha forniti di ogni protezione, ma è stato surreale trovarsi immersi in un clima da film catastrofico. Era necessario far comprendere alle persone che tutte quelle restrizioni erano adottate per il bene comune. Mai abbiamo sorpreso qualcuno che avesse intenzione di eludere i controlli, più che altro erano gli autotrasportatori che venivano dall'estero che non sapevano che strada dovessero fare per scaricare la merce".

"Avevamo turni h24, i check point andavano presidiati senza sosta. Stavamo attentissimi- spiega Mollica - avevamo mascherine, guanti, anche tute in caso di necessità. La percezione era che la gravità della situazione non fosse stata recepita da tutti: alcuni ragazzi continuavano a uscire, avevano bisogno di evadere proprio perché era tutto chiuso. Con loro ogni tanto scambiavamo qualche chiacchiera per poi rimandarli a casa, l'unico posto dove si può stare al sicuro. Oggi sono in quarantena, dovrò stare solo fino al 24 marzo, ancora nove giorni. Leggo, scrivo, guardo un po' di tv anche se mi passa anche la voglia, chiamo mia figlia, l'aiuto nei compiti e inganno il tempo così. E' dura, ma ho preferito tutelare lei e mia moglie in questo modo. Non uscire è l'unico modo per combattere un nemico invisibile e subdolo. L'unica difesa è non farci trovare".

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