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Coronavirus, volare a Milano ai tempi di Covid-19

02 marzo 2020 | 12.54
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Coronavirus, volare a Milano ai tempi di Covid-19

di Tommaso Gallavotti
Parigi, annullato. Istanbul, annullato. Amburgo, annullato. Tel Aviv, annullato. Cancellati anche i voli per Monaco di Baviera, Lione, Zurigo, Vienna e Francoforte di lunedì mattina, quelli usati dai pendolari. Per toccare con mano il disastro che l'epidemia di Covid-19 sta già provocando nell'economia lombarda bisogna essere all'aeroporto milanese della Malpensa.

E' domenica sera, tempo di rientro per i 'pendolari' tra Milano e le varie capitali politiche ed economiche d'Europa, ma lo scalo del Basso Varesotto, termometro magari impreciso ma infallibile dell'attività economica di una delle più grandi aree metropolitane dell'Ue, è semideserto. Sul sito della Sea, un banner avvisa che "in relazione all'emergenza del nuovo coronavirus, l'attività degli aeroporti di Linate e Malpensa prosegue regolarmente".

Ai controlli di sicurezza, nessuna fila: tre minuti e si passa. Mai vista una cosa simile in quattro anni di pendolarismo tra Milano e Bruxelles, neanche il martedì sera, giorno di 'stanca'. La domenica sera, un quarto d'ora di coda è il minimo. Domenica 1 marzo, si passa veloci. E' comodo, ma non è un buon segno: pochi passeggeri significa crollo del load factor, il tasso di riempimento degli aerei, che le compagnie tengono sempre d'occhio (far volare un aereo costa).

Brussels Airlines, compagnia controllata da Lufthansa, ha già tagliato i voli Bruxelles-Milano del 30%: è crollata la domanda. Ryanair non ha fatto annunci analoghi, ma agli irlandesi non piace volare in perdita. Per ora sul sito la compagnia assicura che "i nostri voli operano regolarmente". Se anche Ryanair dovesse farlo, per i pendolari Milano-Bruxelles la vita potrebbe diventare più dura. Il treno Bruxelles-Milano passa da Parigi e Lione, ci mette una vita e costa caro. Flixbus costa meno e fornisce un buon servizio, ma sono 16 ore, contro un'ora e 10 di volo.

All'edicola poco dopo il Duty Free, gli scaffali dei giornali sono pieni come non mai. Risme di Corrieri, Repubbliche, Stampe, Prealpine, Verità e Fatti giacciono invendute, alle 18.40. In genere qualche copia si trova, ma c'è ancora chi ama la carta e la sera non c'è grandissima scelta. "E' così da una settimana - spiega il ragazzo alla cassa - non c'è nessuno. Nei primi giorni dell'emergenza c'è stato il pienone, perché tutti andavano via. Adesso...".

Adesso è il deserto. "Prima - riferisce - è passato un pilota italiano, di Korean Air. Mi ha salutato, perché dice che fino a maggio di volare non se ne parla". Da Caio Pinsa Romana, davanti a Starbucks, è calma piatta. La pinsa è una versione della pizza più piccola e preparata con un mix di farine differente, apprezzata anche nella Grande Mela, secondo il New York Times, e gradita anche ai viaggiatori che passano per Malpensa: intorno alle 19 in genere i tavoli sono pieni, non è facilissimo trovare posti a sedere.

Domenica 1 marzo, i tavoli occupati sono appena due: in uno siede una ragazza con la mascherina protettiva. Il pinsaiolo-cassiere conferma: "E' così da una settimana", dice. La pinsa arriva in tre minuti, giusto il tempo di cuocerla.

L'estate scorsa, con Linate chiuso per il rifacimento della pista, Malpensa la domenica sera era un alveare: trovare da mangiare non era facile, tanto che la Sea, per far fronte all'aumento dei flussi, aveva allestito dei street-food cart che vendevano polpette. Sembrano passati anni: oggi, con il focolaio di Covid 19 scoppiato nel bel mezzo del Lodigiano, terra tranquilla di raspadura e panneroni, qui nell'aeroporto della brughiera tutto è cambiato.

Atterrando a Zaventem la domenica sera, puntuali (ritardi di una ventina di minuti-mezz'ora sono abbastanza frequenti, per via dell'intenso traffico aereo tra Milano e Bruxelles), si rientra in Belgio senza alcun problema. Nessun controllo, niente domande. Chi è passato per una zona colpita dalla Covid-19, può continuare a vivere normalmente, facendo attenzione a eventuali sintomi, raccomanda il governo belga. Bruxelles è una città cosmopolita e non chiude agli italiani, a differenza di qualche regione del nostro Paese, almeno fino a giovedì scorso.

Che le cose si stessero mettendo male per la Lombardia era chiaro già giovedì sera. Il volo Ryanair da Zaventem, l'aeroporto internazionale di Bruxelles, non è mai stato così vuoto, complice forse anche la settimana semifestiva: in Belgio settimana scorsa le scuole erano chiuse, sicché molti genitori, per non spendere una fortuna in babysitter, prendono le ferie e vanno in settimana bianca. Non pochi, anche tra chi lavora nelle istituzioni Ue, sono stati proprio sulle Alpi italiane, a sciare. E ora torneranno in Belgio.

Al gate A31 di Zaventem c'è pochissima coda, l'imbarco termina in cinque minuti: alle 17.55 "boarding completed" annuncia l'altoparlante. Sull'aereo c'è parecchio spazio, si viaggia comodi, distanti gli uni dagli altri. E non è un buon segnale. Le mascherine sono poche: due coppie di ragazzi, un ragazzo che usa un paracollo per filtrare l'aria, a mo' di placebo.

In Belgio, comunque, i casi di Covid-19 sono ancora pochissimi: uno importato da Wuhan all'inizio di febbraio, subito ricoverato, e una donna di Anversa trovata positiva nel weekend, pare proveniente dall'Oise, dove c'è un focolaio francese. Ha sintomi "moderati" ed è ricoverata all'ospedale universitario di Anversa, riporta La Libre Belgique.

Alle 19.42 l'aereo atterra alla Malpensa, spunta qualche mascherina in più. Al controllo della temperatura corporea, novità introdotta da qualche settimana, non c'è coda, contrariamente al solito. Il primo istinto, subito represso, è quello di strappare l'aggeggio dalle mani dell'operatore sanitario e provare a lui la temperatura.

Arrivare dal Belgio, Paese con pochissimi casi, in Lombardia, maggior focolaio di Covid19 fuori dall'Asia, e vedersi provare la temperatura avrà senz'altro serie motivazioni sanitarie, ma ha un suo lato comico.

Non manca un coté vagamente 'cinese': un'operatrice sanitaria si accorge del cronista che, adocchiato il check point, lo fotografa da una ventina di metri con il cellulare. E censura: "Signore, non si possono fare le foto. La cancella, per favore?". Anche qui, la prima risposta d'istinto, "sono un giornalista e fotografo quello che mi pare" viene subito ricacciata in gola, suona troppo "lei non sa chi sono io".

Si risponde sorridendo "va bene" e si fa finta di cancellare la foto, ovviamente conservandola. Il suo collega che prova la temperatura, più in là con gli anni e probabilmente conscio della vaga comicità della situazione, la prende con filosofia: "Ma va bene, chi se ne frega...". Tanto il coronavirus, Sars Cov 2 il nome scientifico (tutti lo chiamano Covid 19, non c'è verso, anche se quella è la malattia), in Lombardia è già arrivato, da un pezzo.

E sta facendo danni. Dopo un quarto trimestre 2019 con il Pil in calo congiunturale dello 0,3%, pochi dubitano che il primo trimestre sarà negativo, con questa mazzata che ha colpito la Lombardia, il Veneto, l'Emilia Romagna e anche il Piemonte, cioè il cuore economico del Paese e una delle aree più dinamiche d'Europa.

Le prime due regioni da sole fanno il 31% del Pil italiano. Vuol dire che il Pil italiano calerà. Vuol dire, Dio non voglia, aziende che chiudono, posti di lavoro che se ne vanno. La speranza è di poter tornare presto a sbuffare, facendosi una buona mezz'ora di coda ai controlli di sicurezza.

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