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Covid, Milano-Bicocca: "Uso metafore belliche non influenza negativamente comportamento"

06 maggio 2021 | 12.53
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Studio dell'università milanese in con collaborazione con l'università di Genova

(Fotogramma)
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Guerra contro il virus-nemico. Ospedali-trincee. I medici eroi. I ricercatori di Filosofia del linguaggio del Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca, in collaborazione con il Laboratorio di Linguaggio e Cognizione diretto dal professor Filippo Domaneschi presso l’Università di Genova, subito dopo il primo lockdown si sono chiesti se le metafore belliche utilizzate per trattare i temi legati alla pandemia influenzassero i comportamenti delle persone. Lo studio, pubblicato su PLoS One (Does the Covid-19 war metaphor influence reasoning? doi.org/10.1371/journal.pone.0250651), è stato condotto a giugno del 2020 su un gruppo di 200 italiani.

''Quando è scoppiata la pandemia, i leader di tutto il mondo hanno fatto ampio ricorso alla metafora bellica – spiega Francesca Panzeri, ricercatrice di Filosofia del linguaggio e coordinatrice dello studio -. Da molte parti, però, si sono levate grida di allarme: usare la metafora bellica sarebbe pericoloso, perché, tra le altre cose, indurrebbe le persone a pensare in modo divisivo e ad accettare supinamente derive autoritaristiche e la soppressione di libertà personali. Abbiamo così deciso di condurre un esperimento per capire se davvero le metafore possono influenzare il nostro modo di pensare e di agire''.

I ricercatori hanno svolto il loro esperimento presentando degli scenari legati alla pandemia, e chiesto ai partecipanti di indicare con quali alternative si trovavano maggiormente d’accordo. Ad esempio, dopo aver parlato del problema della diffusione di fake news legate al Covid-19, tra le alternative proposte c’era sia quella di permettere la censura di opinioni personali se pericolosamente in contrasto con le indicazioni del Governo, sia quella opposta che porta a salvaguardare sempre e comunque la libertà di opinione.

Il punto fondamentale è che gli scenari venivano proposti in una formulazione neutra per metà dei partecipanti, e in una formulazione contenente diverse metafore belliche per l’altra metà dei partecipanti.

Se le metafore di guerra portassero realmente gli ascoltatori a pensare e ad agire in maniera congruente allo scenario bellico ci sarebbe dovuta essere una maggiore propensione a scegliere le alternative “pericolose” da parte dei partecipanti esposti al testo metaforico rispetto a quelli che leggevano il testo neutro. Così non è stato: le scelte dei partecipanti non dipendevano dall’esposizione ai testi che evocavano metafore di guerra piuttosto che a testi neutri.

''Lo studio mostra che le metafore che utilizziamo non sono di per sé in grado di “plasmare” ciò che le persone pensano, come ragionano o il modo in cui si comportano. È importante ricordare che le parole sono sempre pronunciate o ascoltate da parlanti che hanno credenze, opinioni, preferenze e, spesso, anche uno spirito critico'', conclude Filippo Domaneschi.

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