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Beni culturali: Emanuele, politici non capiscono niente di arte

13 maggio 2015 | 14.33
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Per il presidente della Fondazione Roma, "i beni culturali sono l'unica risorsa di cui disponiamo in un Paese in cui la crisi economica internazionale, ma soprattuto le scelte sbagliate della politica nazionale, di tutti i governi, da Berlusconi a Letta a Renzi, si continuano a manifestare"e per valorizzarli è fondamentale che lo Stato dia spazio ai privati /Foto

Beni culturali: Emanuele, politici non capiscono niente di arte

I beni culturali come "unico asset" italiano, vera "energia pulita" per il nostro Paese, purchè i privati siano coinvolti nella loro valorizzazione, anche perchè "credo che la classe politica attuale non capisca niente di arte". E' la tesi che il presidente della Fondazione Roma, Emmanuele Emanuele, ha sostenuto conversando con l'AdnKronos, in occasione del convegno promosso oggi a Roma da Adsi (Associazione Dimore Storiche Italiane) 'Beni culturali: oneri o risorse? L'impatto economico del patrimonio storico-architettonico sull'economia del Paese'.

"I beni culturali sono l'unica risorsa di cui disponiamo in un paese in cui la crisi economica internazionale, ma soprattuto le scelte sbagliate della politica nazionale, di tutti i governi, da Berlusconi a Letta a Renzi, si continuano a manifestare", ha detto Emanuele, per il quale "l'unico asset di cui disponiamo è il territorio fantastico, la meraviglia delle nostre riserve che io definisco veramente auree, la nostra energia pulita, cioè le opere d'arte. Per consentire di valorizzare questo enorme patrimonio nazionale lo Stato deve però consentire ai privati, come nel mio caso, di poterlo fare, facilitandoli nell'attività di utilizzazione e di sviluppo dello stesso".

Durante l'incontro, tenutosi a Palazzo Colonna (Fotogallery dell'evento), è stato dibattuto il contributo dato dai beni culturali, anche privati, al sistema Paese, in molteplici forme: dal richiamo turistico, alla creazione di posti di lavoro, all'indotto legato a manifestazioni culturali, fino al rilevante gettito fiscale, legato in particolare all'elevata tassazione delle superfici degli immobili di proprietà privata, indipendente dall'eventuale generazione di un reddito. "Il problema di fondo è che le nostre risorse culturali sono mal gestite e la politica continua costantemente a ignorare il forte ruolo che hanno nell'economia -afferma Emanuele- destinando soltanto lo 0,1 % del Pil al sostegno della cultura e non facilitando i privati nell'attività di utilizzazione e di sviluppo degli stessi".

"La burocrazia ostacola la possibilità di accesso all'utilizzazione dell'opera d'arte, in altri termini non fa quello che fanno gli altri paesi come la Spagna o l'Inghilterra - continua Emanuele- che valorizzando il loro patrimonio hanno risolto moltissimi dei loro problemi, e hanno un patrimonio di gran lunga inferiore al nostro. Andiamo verso un'epoca che guarda alla robotizzazione e all'utilizzazione di automi che faranno cadere verticalmente la possibilità dei giovani di trovare lavoro. Accadrà ovunque, l'unica chance che abbiamo è di valorizzare questo enorme patrimonio artistico del quale disponiamo".

Per il 'padrone di casa', il presidente dell'Adsi, Moroello Diaz della Vittoria Pallavicini, "il sistema beni culturali, in particolar modo quello privato, è fonte di risorse per il nostro paese e non di costi. E' fondamentale comprendere il reale impatto dei beni culturali nel nostro sistema per avviare un ripensamento della politica, che individui strumenti e meccanismi di rifondazione e sviluppo del nostro sistema economico, che dai beni culturali può trarre nuova linfa".

"Il Mibact dovrebbe avere una capacità d'intervento più attiva rispetto al presente, tra le soluzioni si dovrebbe rivisitare il codice dei beni culturali e ricentralizzare il sistema di promozione turistica. Il patrimonio culturale privato rischia di sgretolarsi come quello pubblico -ammonisce il presidente dell'Adsi- attuando una strategia diversa, i beni culturali potrebbero diventare fondamentali per lo sviluppo economico del nostro paese".

Carlo Calenda, viceministro del ministero dello Sviluppo Economico ha evidenziato come i beni culturali abbiano un forte impatto sull'economia del Paese, sottolineando la necessità di una tutela e di una gestione differente da quelle attuali: "Il mercato dei beni culturali è lo stesso che per il Made in Italy e la cultura -dice Calenda- Sul patrimonio culturale e sul turismo manchiamo però di un progetto strategico di lungo respiro".

Nel suo intervento al convegno, Emanuele ha ribadito che lo Stato sbaglia a limitare gli interventi dei privati nella gestione del patrimonio artistico e culturale italiano: "La classe politica italiana non vive nel paese reale -sottolinea Emanuele- L'automazione e la rivoluzione informatica spazzeranno via interi mondi. Abbiamo una visione occultatrice del nostro patrimonio, i nostri musei sono pieni di opere d'arte di proprietà dei sovrintendenti che si sentono i proprietari. A Roma musei, siti archeologici e biblioteche sono chiuse, credo che la classe politica attuale non capisca niente di arte. Nel 2013 il Fus è calato di 398 milioni, i Fondi per la tutela sono scesi a 47 milioni e i fondi per il restauro sono calati del 41%, i comuni hanno tagliato dell'11% le risorse. Il pubblico odia il privato, e pretende solo soldi".

"Facciamo gli stessi discorsi da 10 anni, l'Italia è in una crisi irreversibile da 23 anni a causa delle scelte della politica economica -dice il presidente della Fondazione Roma- Il paese è entrato in crisi già 40 anni fa con lo smantellamento dell'industria statale, oggi anche i settori della chimica e dell'auto sono ridotti ai minimi termini e il sistema fiscale attuale è fuori di testa".

"C''è una norma della Costituzione, l'articolo 118, che dice che quando lo Stato non è in grado di fare una cosa, il privato può farla -conclude Emanuele- Tenacemente, la politica amministrativa del nostro paese pone un muro impedendo al privato di fare la sua parte, questo è il vero e grande problema".

Nel corso del convegno, è stata inoltre presentata dal professor Luciano Monti l'ipotesi dell'incidenza favorevole di una riduzione dell'Imposta Unica Comunale del 30%, su un valore medio di tassazione per dimora storica stimato in 15.000 euro, e condizionata ad investimenti per la valorizzazione delle dimore stesse. La riduzione dell'imposta genererebbe così un circuito virtuoso, legato alle attività di manutenzione effettuate e all'iva generata dalle attività culturali che ruotano attorno alla dimora stessa, corrispondente a un possibile gettito fiscale ulteriore massimo di 100-120 milioni di euro, parametrato sulle 50.000 dimore storiche presenti in Italia.

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