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Scannerizzare, postare, hackerare: la (inevitabile) ascesa degli inglesismi

25 gennaio 2016 | 13.25
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Swicchare, hackerare, daunlodare, uplodare, scannerizzare, postare, ma anche spending review, asap, all inclusive, brand, budget, dress code, eco friendly. Chi non ha mai usato un inglesismo, o anglicismo, scagli la prima pietra. Sono tantissime, infatti, le parole straniere ormai entrate nel linguaggio corrente e ancor più le rivisitazioni 'caserecce' di termini considerati intraducibili. Ma perché lo facciamo? Un po' per pigrizia, un po' per abitudine, ma anche perché senza forestierismi forse non riusciremmo a formulare altrettanto chiaramente alcuni concetti. L''invasione barbarica' della lingua italiana non sarebbe quindi sempre frutto di una cronica mancanza di lessico, ma solo un modo più veloce e chiaro di comunicare.

"L'italiano - spiega all'Adnkronos Vera Gheno, membro dell'Accademia della Crusca - è una lingua molto accogliente nei confronti dei forestierismi, mai troppo autarchica tranne durante il Fascismo, quando il bar era il 'Qui si beve' e la toilette 'la ritirata'. E sono tante le parole prese in prestito dalle altre lingue, in passato soprattutto dal francese e negli ultimi 30 anni dall'inglese, lingua franca del commercio e della cultura che ha un ruolo rilevante in particolari settori culturali, come ad esempio la scienza. Ma non solo: l'influsso viene anche dalla cultura pop, con film, musica e fumetti che espongono i giovani, fin dalla tenera età, a prodotti anglofoni".

"Normalmente - continua Gheno - quando si parla di forestierismi si possono fare due classificazioni di massima: quella 'di necessità' e quella 'di lusso'. Per necessità si intendono quelle parole correlate all'arrivo nel nostro Paese di un fenomeno o di un oggetto che non ha un nome italiano. E' il caso, ad esempio, del mouse, del computer o del selfie - non esattamente traducibile con 'autoscatto', perché implica una diversa modalità di fotografare -, parole per le quali non c'è traduzione. Nella classificazione di lusso, invece, rientrano quei termini che potrebbero avere un corrispettivo italiano, ma che vengono utilizzati solo per una forma di snobismo e senza una vera utilità. Una cosa che accade ad esempio nel mondo della moda, dove il viola anche in Italia diventa inspiegabilmente il 'purple'".

Ma davvero l'uso di anglicismi, e più in generale dei forestierismi, è così inevitabile? "Dipende: in informatica - spiega ancora l'esperta - è un fatto di comodità, utile a rendere più rapida la comunicazione fra tecnici. Da linguista posso dire che il forestierismo penetra bene quando funziona bene , quando cioè il peso semantico è tale che il corrispondente italiano non renderebbe altrettanto bene. E' il caso dello 'spoiler', che potrebbe essere tradotto come 'rovina film', ma che suonerebbe posticcio. E poi è una questione di sintesi: se ho bisogno di una lunga circonlocuzione per spiegare un concetto, semplicemente non è pratico". In questo senso ha funzionato bene il forestierismo 'tsunami', "che richiama visivamente la massa d'acqua e che può rendere meglio l'idea rispetto all'onda anomala italiana. Ma il termine è giapponese e nessuno si è mai lamentato perché troppo invasivo. E' più l'inglese a dare fastidio".

La lingua italiana è quindi destinata ad accogliere sempre nuovi termini stranieri. E l'era di internet e dei social network rende il processo molto più veloce rispetto a qualche decennio fa: "Chiaramente l'influsso delle chat negli anni '90 rispetto ad oggi era minore. E' ovvio - afferma Gheno - che con la diffusione dei social anche quella di forestierismi sia maggiore. Il fenomeno lo stiamo studiando adesso e sappiamo che da quando esiste internet ci sono cambiamenti a livello cognitivo, superiori alla lingua ed estesi alla conoscenza della realtà. Più mezzi di comunicazione usiamo più ne conosciamo il lessico. E come è successo per l'aumento del numero dei parlanti dell'italiano dall'avvento della tv in poi, nel momento in cui l'Italia si è lanciata online la lingua è cambiata ancora. Non è molto diverso, ma si nota di più perché è tutto più rapido".

Un processo al quale è quasi impossibile sottrarsi, dunque, ma che dipende anche molto dall'iniziativa del singolo: " Alla fine - commenta la linguista - la direzione che prende la nostra lingua non dipende da qualcuno che ci dice dove andare, ma da noi parlanti: nel nostro piccolo, infatti, possiamo evitare il danno, scegliendo ad esempio di non utilizzare alcuni termini se proprio non ci piacciono e di sostituirli semplicemente con parole italiane. La verità è che sono gli italiani che fanno la lingua".

Intanto, per contrastare l'uso scorretto di neologismi e forestierismi "da qualche anno in Crusca è nato il gruppo 'Incipit', formato fra gli altri da Annamaria Testa, che si occupa di creare dell'attenzione nei confronti di alcuni anglismi utilizzati nel mondo della comunicazione e della politica. Si tratta di quei tecnicismi che non aiutano la comprensione di un discorso, ne è un esempio il termine 'hot spot' usato per indicare i Centri di identificazione dei migranti che entrano nell'Ue, ma che ha già altre connessioni semantiche assolutamente diverse che si sovrappongono pericolosamente al presunto senso nuovo", conclude l'esperta.

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