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Mostre: ad Agrigento la pittura analitica di Pino Pinelli

10 marzo 2016 | 11.15
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La pittura analitica di Pinelli
La pittura analitica di Pinelli

Se la pittura è 'migrante', ovvero esce fuori dal quadro - impregna il supporto, lo increspa, percorre pareti, scandisce spazi, semina segni e traiettorie cromatiche - c’è di mezzo l’arte visionaria di Pino Pinelli, artista al quale le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento dedicano una ricca retrospettiva con la mostra Trademark, a cura di Marco Meneguzzo, in programma alle FAM dal 19 marzo e fino al 22 maggio prossimo. Inaugurazione sabato 19, ore 19. Trademark come appunto 'marchio di fabbrica', ovvero le forme e i “singoli colori puri” - gli stessi di Mondrian - che, nell’arco di quarant’anni, hanno reso celebre l’arte di Pinelli, protagonista della Pittura Analitica nata in Italia negli anni Settanta. Quindici le opere in mostra ad Agrigento, selezionate dalle collezioni di privati e gallerie e realizzate da Pinelli dal 1975 ad oggi.

Nato a Catania nel 1938, Pinelli lavora a Milano dal 1963 dove ha vissuto da vicino la stagione artistica animata da Lucio Fontana, Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Con i cicli delle Topologie e Monocromi, Pinelli esplora nei primi anni Settanta la tendenza dell’epoca per la pittura analitica. Fino alla soluzione finale dell’abbandono della tela e del telaio che lo storico dell’arte Giovanni Maria Accame spiega come “una pittura in perenne migrazione (…) un’uscita dal quadro che non è negazione della pittura ma una sua differente concezione. Diversamente inseguita ed essa stessa inseguitrice di uno spazio sempre assorbente e mai compiuto (…)”.

Spiega Marco Meneguzzo nel saggio critico in catalogo: “Cosa sono, infatti, i suoi segni, le sue disseminazioni, se non “pura pittura”? Basterebbe questa intuizione per riservargli un posto nella nostra storia dell’arte, se non altro come unico artista italiano a fare pittura senza quadro, e la spiegazione di un mancato riconoscimento – o di un riconoscimento minore delle aspettative – può apparire quasi paradossale, dopo quanto è stato appena detto: l’opera di Pinelli appare talmente “naturale” che il suo stato di “eccezionalità” è passato sotto silenzio. Non è una contraddizione in termini: lo sviluppo del suo lavoro, dalle prime “Pitture” degli inizi anni Settanta non mostra alcuna forzatura, e persino quello che è stato un coraggioso “salto nel vuoto” – vale a dire il passaggio dalla tela all’oggetto o, sarebbe meglio dire, dalla tela dipinta alla pittura tout court -, sembra assolutamente naturale, tanto chiaro ed evidente nella sua limpidezza ideale e formale da domandarsi come sia possibile che nessuno l’avesse pensato o realizzato prima. In questo senso l’opera di Pinelli ha la “naturalità” delle grandi idee, delle grandi intuizioni, perché è semplice, e perché apre un orizzonte sconfinato, al suo lavoro come a quello di altri”.

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