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Libri: 'Carciofi alla giudia', Elisabetta Fiorito vola con ironia sui pregiudizi

04 aprile 2017 | 18.36
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copertina del libro di Elisabetta Fiorito 'Carciofi alla giudia'
copertina del libro di Elisabetta Fiorito 'Carciofi alla giudia'

"Troppa religione fa male qualunque essa sia". E' Rosamaria a pensarla così. Ed è lei la protagonista del romanzo 'Carciofi alla giudia' scritto per Mondadori da Elisabetta Fiorito, giornalista politica di Radio 24 e tra i vincitori del premio Fersen 2016 per la drammaturgia. Un libro, il suo, dove l'ironia diventa quasi protagonista, assieme alla coppia attorno alla quale tutto ruota: Rosamaria, regista teatrale, razionalista, e David, ebreo tripolino commerciante.

In una Roma attraversata più che mai dalla crisi, come le cronache l'hanno ben fotografata tre anni fa, l'incontro fra i due, non più giovanissimi, è l'incontro fra due mondi e, più in piccolo, due famiglie, quella dei Fellus con le loro regole e i loro pranzi rigidamente kasher, e quella dei Cecchiarelli, abituati ad una figlia femminista che stentano a riconoscere se non ad accogliere, da quando ha messo da parte certi aneliti di libertà per amore.

Un libro che scorre fra le strade della Capitale con le aziende che chiudono per via della crisi come quella dei Cecchiarelli e si immerge nelle feste giudaiche, nei piatti tipici. Un romanzo, dove il pregiudizio viene chiamato in causa, e che si cala nel contesto di un Italia soffocata dai vincoli europei e dalla difficoltà della classe politica di far fronte alla situazione. "La vita si era fatta difficile in Italia, il populismo avanzava, ma per fortuna Dio aveva creato gli ansiolitici", scrive la Fiorito leggera ma pungente.

E poi c'è il teatro che è messo al centro senza divenire celebrazione stucchevole. Malgrado la crisi e malgrado i tagli alla cultura, Rosamaria, infatti, si ostina a voler mettere in scena una commedia brillante, imbattendosi però in chi non crede nella nuova drammaturgia e continua a non osare, lasciando spazio solo a testi di repertorio per fare cassa.

Sullo sfondo la storia di un popolo abituato al cambiamento, alle migrazioni, ma custode delle proprie tradizioni: il popolo ebraico incarnato dalla famiglia Fellus, arrivata in Italia nel 1967 dopo la cacciata degli ebrei dalla Libia, che ha preferito restare a Roma invece che andare in Israele. Una scelta che non lascia indifferente David, visto che l'Italia è andata indietro, mentre Israele ha preso il turbo, con un pil in piena crescita nonostante la situazione generale dell'area.

Un libro dal finale surreale, che vola leggero sui conflitti e sulle contraddizioni della vita, guardandole dall’alto.

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